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"Egli sarà come un albero alto piantato sulle rive del fiume che il frutto matura ad ogni stagione e foglie non vede avvizzire: a compimento egli porta ogni cosa"
Salmo 1, 3
Dario Mencagli Kirsten Andersen Ermanno Battisti Ennio Pirondi Carlo Tradati Franco Lacchini Grazia Longhi Giancarlo Carrara Piera Brigatti Jose e Gigi Rota Giovanni Gadda Renzo Milanese Patrizia Pucci Giovanni Zonta Guglielmo Colombo Felicita Minjie Sandro Gallazzi Ana Maria Rizzante Carlo De Bernardi e Giovanna Ambrogio Cattaneo e K'heoh Fabrizio Persico Luigi Martini Franco Dell'Oro Guglielmo Spadetto Carlo Torriani Carla Busato Giuseppe Barbaglio Tino Frontini Carlo Tei Giancarlo Politi Franco Cagnasso Franco Cumbo Franco Mella Nevio Viganò Alberto Zamberletti Eligio Omati Vittorio Mapelli Igino Pedretti Gianni Foresti Angelo Da Maren Luigi Carlini Daniele Gastoldi Giampaolo Lecis Gigi Caccia Atzko e Roberto Maggi Maurizio Fioravanti Silvano Fausti Annamaria Cavagnolo Massimo Sacchi Marisa Grilli Laura Nigretti Carlo Masetto Adriano Aldrovandi Alessandro Bonino Maurizio Laffranchi Patrizia Morganti Enrico Paglialunga Carmela Gallazzi Gianna Sergio Serafini Renza Stroppa Carla Barlassina Elda Barlassina Lina Barlassina Simonetta Barlassina Stefano Galbiati Marì Tironi Anna Piva Piera Mazzoleni Anna Rotigni Paola e Nino Bellia Pippo Gliozzo Pina e Riccardo Rodano Elisabetta Carpinteri Francesco Troiano Giovanna Cannata Salvatore Longo Rita Gentile Giovanni Romano Mario Garofalo Elisa Moriggi
Insieme per dire Grazie |
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Un anno fa di anni fa |
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15 marzo 2011
un anno fa moriva Giulio ma niente, neppure la morte, può cancellare il suo sorriso, il vissuto di una esistenza fatta di umiltà e di coerenza, di tenacia e di dolcezza, di silenzio e di sguardo
lo ricordiamo così - semplicemente - senza volerne fare un'icona: Giulio sarebbe il primo a non essere d'accordo, perché "uno solo è il Maestro"
insieme diciamo grazie - a Dio - per un regalo così bello: la sua figura ora riposa in noi
15 marzo 2012 |
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Il progetto |
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"Reverendissimo Superiore Generale e Consiglieri
Noi sottoscritti (p. Armando Rizza, p. Pietro Belcredi, p. Giulio Barlassina) vorremmo presentarvi un progetto di modo di impegno nell'Evangelizzazione al quale ci sembra di sentirci chiamati, dopo l'esperienza fatta da ciascuno di noi, dopo una lunga riflessione e dopo scambi di idee avvenuti tra noi.
Questo nostro 'progetto' non vuole contenere una pretesa di essere il modo migliore in assoluto di esplicare l'attività missionaria, nè - tanto meno - una critica ai modi attualmente assunti dai membri del nostro Istituto, ché anzi vuol essere un assumere in modo più esplicito e concreto proprio quelli che a noi sembrano essere i modi più autentici di presenza
missionaria realizzata dai membri del nostro Istituto.
SCOPO del nostro progetto è sostanzialmente lo stesso che si è sempre prefisso l'attività del nostro Istituto: l'EVANGELIZZAZIONE degli uomini, in ambienti nei quali non è ancora stato annunciato il Cristo, per 'camminare insieme' a questi uomini verso la conoscenza e l'amore del Cristo Salvatore, per mettere in pratica nella nostra vita quotidiana i Suoi insegnamenti.
In altre parole: camminare insieme verso la maturazione dell'Amore (= essere sempre più totalmente per l'Altro), che è dono esclusivo di Dio.
Le attività nelle quali si concretizza quest'opera
di
evangelizzazione possono essere diverse. La preoccupazione maggiore (per non dire unica) del missionario, deve essere quella di esprimere in questa attività l'Amore stesso del Cristo dal quale siamo animati; Amore del quale sono da rilevare le seguenti caratteristiche:
- attenzione a non separare la vita soprannaturale dalla sua base umana;
- amore pieno di MISERICORDIA e comprensione;
- degli uomini, anche non cristiani;
- rispetto dell'azione libera della GRAZIA, sia nelle persone e comunità che accosteremo sia in noi e tra noi;
- pazienza e disinteresse nella ricerca dell'efficacia (che è inseparabile dall'amore che vuole comunicarsi);
- tensione a mettersi sempre sul piano dell'AMICIZIA.
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Per poter realizzare meglio queste caratteristiche dell'Amore di Cristo, prima in noi stessi e tra noi stessi e poi anche in un'espressione esterna nel contempo con gli altri, e questo in un ambiente non ancora evangelizzato, noi ci prospettiamo un'impostazione di vita e di presenza missionaria che avrà questi elementi sostanziali:
1. ci dovremo inserire in un ambiente da UOMINI CON GLI ALTRI UOMINI, senza portare con noi e mediante noi una struttura prefissata, anche sul piano religioso (es.: costruzione di una parrocchia, con opere, ecc.; questo sarà un lavoro che, quando si renderà necessario, noi lasceremo ad altri);
la nostra sarà una presenza di TESTIMONIANZA e di PREDICAZIONE sul tipo di quella di Gesù, che porterà al costituirsi di una COMUNITÀ EVANGELICA, animata dalla fede in Cristo e dall'Amore;
quando sarà venuto il momento in cui questa Comunità dovrà strutturarsi su un piano sociale esterno (= parrocchia), noi lasceremo il posto ad altri;
2. in qualsiasi ambiente verremo destinati dai Superiori (in accordo coi Vescovi locali) e qualsiasi possano essere i mezzi che riterremo opportuno usare per realizzare la nostra presenza, noi dovremo basare la nostra azione apostolica su RAPPORTI UMANI, in uno spirito di AMICIZIA, tenendo sempre ben presente lo scopo di condurre gli uomini (singoli e gruppi) a conoscere il Cristo (l'Amore),a credere in Lui e a trasformare gradualmente la loro vita secondo i criteri del Vangelo;
3. sarà soprattutto la 'NOSTRA VITA' (= il nostro modo di vivere) che realizzerà un'autentica testimonianza evangelizzatrice.
È questo il punto su cui insistiamo maggiormente, come caratteristica della nostra attività missionaria, e per cui ci sentiamo in dovere di chiedere ai superiori che ci permettano e ci aiutino a tentare di realizzare questo nostro 'progetto'.
a) Vita di comunione tra noi, il più profonda possibile, basata su una fede esplicita sul valore della presenza di Cristo in noi e tra noi mediante il Suo Spirito, che fa sì che ogni piccolo gruppo sia 'Chiesa'
Questa vita di Comunione si espliciterà in un 'vivere insieme' (i modi concreti di questo 'vivere insieme' si potranno vedere meglio sul posto), mettendo TUTTO in COMUNE:
- problemi, idee, modi di pensare, ecc., mediante una regolare 'Revisione di vita', lo studio, i momenti di preghiera, …
- l'attività missionaria, che sarà sempre decisa e rivista in comune, in tutti i suoi aspetti;
- l'amministrazione di tutti i mezzi (soldi, roba, ecc.), in una linea di povertà evangelica (che andrà continuamente ricercata).
b) Lo STILE DI VITA (abitazione, cibo, modo di vestire) dovrà essere basato su una profonda umiltà e povertà, in modo che sia facilitata la preminenza dell'Evangelizzazione nei nostri interessi e sia facilitata il più possibile lo stabilirsi di contatti semplici e familiari (non come tra 'ricco e povero', o 'chi può dare e chi riceve') con la popolazione, della quale ci sforzeremo di condividere le condizioni di vita;
c) Per quanto sarà possibile, la nostra piccola comunità missionaria dovrà dare l'ESEMPIO del LAVORO per guadagnarsi il necessario per vivere;
(N.B.: tuttavia le esigenze del lavoro non dovranno mai precedere le esigenze dell'Evangelizzazione, che è sempre la prima preoccupazione e che costituisce lo scopo
ultimo della nostra consacrazione). Questo lavoro lo riteniamo necessario per noi, per essere fedeli allo spirito di umiltà sociale, di semplicità vera e di comprensione profonda dei bisogni e della mentalità della maggioranza delle persone con le quali dovremo vivere.
N.B.: la nostra Comunità di missionari sarà una COMUNITÀ GERARCHICA, nella quale cioè dovrà esserci il 'segno dell'autorità', e quindi ci sarà in essa un 'Superiore' (o responsabile). |
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4. RAPPORTO con l'ISTITUTO e la COMUNITÀ CRISTIANA
I nostri rapporti con l'istituto saranno quelli indicati dalle Costituzioni, con la preoccupazione di non fermarci alla materialità dell'indicazione giuridica.
La decisione definitiva sarà sempre quella dei Superiori dell'Istituto nei confronti sia della scelta del luogo, del tempo di partenza e di permanenza in missione, come anche circa i modi sostanziali della nostra attività di evangelizzazione.
Inoltre dovremo mantenere dei rapporti di comunione concreta con i membri dell'Istituto mediante lo scambio di comunicazioni (i modi verranno ricercati).
Sul piano ECONOMICO, per poter più veramente vivere in un atteggiamento di povertà, vorremmo - per quanto possibile - non sentirci 'con le spalle sicure', ricorrendo all'aiuto dell'Istituto in quanto tale.
Anche per aiutare la Comunità cristiana a sentirci in concreto - quali siamo - gli strumenti della sua 'missionarietà', dovremo essere noi a trovare persone, gruppi, comunità italiane, con le quali stabilire un rapporto di Comunione (anche esterna), che comprenderà anche l'aiuto economico alla nostra attività missionaria, ma questo (aiuto economico) solo entro i limiti del puro necessario, tenendo presente che questo aiuto economico avrà un valore solo se e in quanto sarà l'espressione di una Comunione sul piano completo dell'attività missionaria.
Perciò con queste persone, gruppi, comunità, dovremo mantenere una comunicazione sul tipo di quella che avremo con i membri dell'Istituto.
Con la CHIESA LOCALE in terra di missione.
Chiederemmo i Superiori di trovare un Vescovo di una regione non evangelizzata, che accettasse questo nostro modo di presenza missionaria.
Salve le linee essenziali (indicate sopra) del nostro modo di realizzare una presenza missionaria, noi dovremo stabilire e mantenere con i Vescovo e il Clero quei rapporti che sacerdoti e missionari devono avere, partecipando vivamente alla vita della diocesi.
Sottoponendo alla Vostra attenzione questo nostro 'progetto', restiamo in attesa di una Vostra risposta
p. Armando Rizza p. Pietro Belcredi p. Giulio Barlassina"
Milano, 1970 (?) |
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Le lettere del prima |
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"Carissimi |
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Giovanni e Franco..." |
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"Catiò, 14 febbraio 1971
Carissimi Giovanni e Franco
Mentre Salvatore sta cavando denti a tutto spiano (e voi sapete in quale contesto di 'presenza missionaria' e, soprattutto, con quale spirito lo fa), io (il 'teorico intellettualista') mi metto a scrivere a voi.
Non lo faccio di mia iniziativa, ma come conseguenza del quasi incessante 'comunicare' che facciamo Salvatore ed io, 'comunicare' che si esprime in una comune ricerca (anche a livello di discussione) dell'ESSENZIALE nella nostra presenza qui.
E siccome, dopo ogni espressione del nostro comunicare, si giunge immancabilmente a concludere che l'ESSENZIALE è il nostro FAR CREDITO, da poveri, alla realtà della Comunione che abbiamo nel Cristo Gesù (che lega noi due, il nostro gruppo pimino di Guinea, quelle persone con le quali possiamo 'esprimere' tale fede anche a livello umano, in modo più o meno esplicito, = Comunità di origine, al gruppo umano in cui ci troviamo ora inseriti, e noi tutti con l'umanità), ieri ci siamo proposti di 'esprimere' un po' questa Comunione scrivendo a voi due, che qui in Guinea siete ricordati come coloro che 'esistenzialmente' hanno stimolato i nostri confratelli a intravvedere che l''ESSENZIALE' della Missione è da ricercarsi nella linea della Comunione (chiamatela come volete…).
Da circa un mese sono qui con Salvatore.
Sono venuto qui (mandato da p. Mario) per tenergli compagnia in questo momento molto delicato.
Come già sapete, il suo modo di presenza qui, oltre ad un inserimento diretto con la Comunità Balanta di Sua, ha esigito un atteggiamento 'chiarificatore' nei confronti della 'Praça', specialmente con quelli che pretendono diritti da 'Cristiani'.
Questo ha naturalmente provocato reazioni che si sono espresse in una 'comunella' (una specie di 'cospirazione') che ha presentato alla polizia tutta una serie di 'queixas', tra le quali alcune di carattere politico (queste ultime erano 'necessarie' per sperare in un 'successo'…): il 'caso' non si è fermato al Governatore, ma è stato demandato (addirittura!) al Ministero Ultramarino di Lisbona.
Ora siamo ancora in attesa di una decisione (da più di 40 giorni).
Intanto al Salvatore non è stato rinnovato il 'bilhete' di permanenza in Guinea.
Nonostante l'atmosfera di incertezza e di 'provvisorietà' creata dall'attesa di detta decisione, la vita e il lavoro qui continuano normalmente e abbastanza serenamente, anche perché Salvatore è in atteggiamento di disponibilità nei confronti del suo avvenire (qualsiasi possa essere la decisione che prenderanno le autorità).
Il tipo di 'presenza' di Camilleri (che voi avete potuto accostare un po' ai suoi inizi) mi sembra su una linea di autenticità evangelica (questa 'linea di autenticità' è espressamente ricercata da Salvatore ); e cioè: è innanzitutto un CONDIVIDERE (sulla base della FEDE) la situazione di questi gruppi umani, tra i quali siamo stati mandati come 'strumenti della Comunione'.
Questa 'Condivisione' (come avete potuto vedere anche voi) si ESPRIME per Salvatore in un'attenzione fattiva alle esigenze 'sanitarie' (dall'estrazione dei denti, ai curativi, al trasporto degli ammalati, alla cura dei neonati) e ai problemi di carattere familiare che sorgono dal tipo di rapporti complessi in uso presso i Balantas, problemi che si vanno facendo sempre più coscienti e gravi, soprattutto a livello di alcuni giovani più attenti e sensibili.
[Cfr nota 1, in calce] |
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Questa presenza mediante la 'Condivisione' ha già provocato, da parte del gruppo Balanta, un INTERPELLARE il padre sul 'perché' di questo suo 'condividere'.
La RISPOSTA viene sia dal 'condividere' stesso sia negli incontri a livello di comunità che sono iniziati spontaneamente e ora continuano con normalità.
Infatti, tre volte alla settimana (domenica, mercoledì e venerdì), alla sera, oltre un centinaio di persone in gran parte sposate (uomini e donne, anche alcuni 'homens e mulheres grandes') si ritrova nella scuola di Sua, per un incontro di preghiera; tutto è fatto in lingua balanta e adattato al 'momento' del 'cammino della comunità'; la musica dei canti (ormai numerosi) è opera di un anziano membro della comunità balanta; il resto è opera del Camilleri, che deve dedicare molto tempo alla traduzione in lingua balanta dei testi biblici e loro commenti, aiutato da alcuni giovani.
Così la 'predicazione' (non nel senso biblico della parola) (= una lettura di un dieci minuti) diventa il 'tradursi in parole' dell'ANNUNCIO (che essenzialmente consiste nel 'condividere credendo alla Comunione nel Cristo' = PAROLA di Dio), come uno dei 'mezzi' (o dei momenti) della RISPOSTA del missionario alla 'INTERPELLANZA' sul 'perché' del suo 'condividere'.
Commovente in modo particolare era l'attenzione di tutta l'assemblea di ieri sera, in cui Camilleri ha letto le Beatitudini.
Al lunedì sera c'è un incontro (senza preghiere né canti) a livello di soli adulti (uomini e donne: lunedì scorso ce n'erano una sessantina) in cui si conversa familiarmente sui problemi concreti della vita balanta.
Nell'incontro di lunedì scorso (durato quasi due ore), gli stessi 'homens grandes' hanno tirato fuori il problema dell'Aulle (= Irâ; voi sapete cos'è), inaspettatamente, perché Camilleri di proposito non aveva mai accennato a questo problema tanto delicato per un balanta; e nella lunga conversazione seguita (più tra di loro che con il padre) è venuta fuori chiaramente una loro orientazione ad una sfiducia totale nel valore dell'Aulle (in proposito, diverse giovani coppie di sposi che frequentano gli incontri da tempo hanno smesso spontaneamente i segni dell'Aulle, loro e dei loro bambini).
[Cfr nota 2, in calce] |
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In questa 'presenza missionaria' non manca certo l'altro suo aspetto essenziale: la CONTESTAZIONE (nel senso di opposizione e rifiuto, almeno parziale) nei confronti del missionario e del 'messaggio'.
Contestazione che si esprime in tanti modi e a diversi livelli (non mi riferisco qui al 'caso' provocato dalla 'praça' e descritto sopra, ma alla 'contestazione' all'interno dello stesso gruppo balanta) ed è da questa contestazione che proviene l'autentica SOFFERENZA del missionario (è l'aspetto della CROCE, essenziale ad ogni momento di una vita da 'Chiesa').
In queste settimane di condivisione abbiamo costatato (a livello di 'esistenza') l'importanza (noi due parliamo di 'necessità') della COMUNITÀ APOSTOLICA (non solo a livello 'giuridico'), dell'essere almeno in due (anche se non sempre insieme fisicamente), per un'autentica presenza missionaria; e questo non solo (né soprattutto) per l'utilità che viene da una 'critica costruttiva' ai diversi momenti di detta presenza, ma anche (e soprattutto) per le esigenze di 'comunione concreta' insite nella vita e nella missione dell'apostolo.
In linea con questo, abbiamo rilevato l'importanza di un più espressa 'comunicazione' con i nostri fratelli di Guinea (almeno quelli del PIME) e con altre 'comunità' (possibilmente che siano impegnate nell'azione missionaria), come potrebbe essere la vostra.
Dai vostri scritti (ho potuto leggere, nel mio peregrinare per la Guinea, diverse vostre lettere) ci risulta che (almeno voi due) siete in espressa comunione con noi.
Noi gradiremmo tanto che si intensificasse questa 'espressione della Comunione', attraverso la corrispondenza epistolare e anche attraverso altre vostre 'venute' tra noi (o di vostri compagni).
Questo, oltre al valore fondamentale di una comunione più intensa, a noi di qui potrebbe servire anche in questo senso: voi, che vi trovate in un ambiente di 'studio', di riflessione sulla realtà ecclesiale, potreste (insieme ai vostri insegnanti) aiutarci a 'criticare' il nostro modo di presenza missionaria, soprattutto per quanto riguarda i suoi principi ispiratori, in modo da facilitarci la 'purificazione', per avvicinarci sempre di più all'autenticità evangelica.
(Credo che non penserete ad una 'strumentalizzazione'…).
Già in questo nostro scritto abbiamo accennato ad alcuni elementi ai quali cerchiamo di ispirare la nostra vita.
Salvatore (che durante le nostre lunghe conversazioni prende molti appunti scritti) sta preparando un 'abbozzo' sul come noi cerchiamo di vedere la 'missione'.
Tutti e due sentiamo la necessità di un confronto di questo nostro modo di pensare, con altri, che se la sentano di aiutarci in un'atmosfera di fraternità.
Se voi (e magari i vostri gruppi) ve la sentiste di darci questo aiuto, scrivete a Salvatore (io dovrò lasciare Catiò per ritornare a Bissau il 22 c.m.) ed egli (quando l'avrà pronto) vi manderà detto 'abbozzo'.
Scusateci la kilometricità di questa comunicazione: ci sembra che l'assunto lo richiedesse.
La fatica che vi è costato il leggerci, compensa la fatica nostra nello stendere questa comunicazione (non pensate soltanto alla mia predilezione per le 'encicliche', ma anche la mia innata 'idiosincrasia' per lo scrivere…).
Salutateci l'Equipe e tutti i vostri compagni
A voi due un saluto particolare
Giulio Barlassina" |
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Nota 1
Voi, che avete accostato da vicino Salvatore, sapete bene che non si tratta qui del classico "specchietto" per attirare e imbonire la gente, o di un 'pretesto' per accostarla e per poi 'imbottirla' delle cosiddette 'idee cristiane'… .
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Nota 2
Non si tratta qui della cosiddetta 'distruzione degli idoli'; si tratta invece di un'autentica LIBERAZIONE da una vera SCHIAVITÙ dell'uomo; schiavitù portata dalla PAURA.
Questa LIBERAZIONE viene da una maturazione della FIDUCIA nell'Amore di Dio, che porta il Balanta a percepire che isuoi rapporti con Dio sono sul piano dell'AMORE e quindi ben al di là dei limiti umani (e incapacità umane) di fronte alle 'forze della natura'.
In questa 'liberazione' entra anche una miglior conoscenza delle 'forze della natura' che incominciano ad essere affrontate con mezzi umani (specialmente: cure mediche, medicine, igiene, previdenza, ecc.).
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"Cari amici..." |
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"Cari amici,
aggiungo solo una parola di completa condivisione a quello che Barlassina ha espresso.
Con la sua venuta… almeno a Catiò un nuovo spirito anima la nostra azione.
Non che prima ci fosse 'scirocco', ma attraverso le sue parole stiamo maturando più a fondo quella realtà missionaria che già affiorava dentro di noi.
Tante cose non le so dire, ma le sento.
C'è sempre un amico che le saprà esprimere… vi saluto di cuore.
Salvatore Camilleri" |
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"Carissimi don Carlo |
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e Comunità di Borgo Est" |
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"Catiò, 4 ottobre 1972
Carissimi don Carlo e Comunità di Borgo Est
Ci è giunta molto gradita la vostra lettera indirizzata a p. Mario Faccioli.
Ci fa un grande piacere il fatto della vostra condivisione dei problemi che toccano la nostra comunità di Guinea e in particolare, attraverso p. Salvatore Camilleri, la comunità di Catiò.
Noi siamo qui a Catiò da una decina di giorni per continuare a vivere con la gente di qui la nostra fede nella condivisione dei loro problemi.
Il p. Salvatore ha iniziato questa condivisione fraterna che certamente avete sentito descrivere dal Franco e dallo stesso Salvatore.
Noi possiamo testimoniare quanto profonda è stata questa condivisione specialmente con il popolo Balanta.
Ci siamo riuniti con i giovani balanta di Sua e ci hanno ripetuto in mille modi la loro sofferenza per l'allontanamento del Padre e allo stesso tempo la gioia di avere altri padri che continuino quello che ha iniziato il p. Salvatore.
Noi siamo convinti di non essere venuti qui per realizzare un desiderio personale, ma perché ci sentiamo mandati da una Comunità cristiana che ci ha generati alla fede e ci ha fatti crescere.
Questa comunità è per ciascuno di noi quell'ambiente che ci ha aiutato a vivere la fede.
Sono tutte le persone e gruppi di persone che abbiamo incontrato nella nostra vita e attraverso le quali Dio ha costruito la nostra storia personale.
Noi siamo qui perché ci sentiamo mandati per dire a questa gente, attraverso la nostra vita, la fede che state vivendo.
Fede che è fatta di tutto quello che di buono fate per gli altri e della condivisione e fraternità con i gruppi umani più lontani.
Questo avviene nella vita concreta di tutti i giorni attraverso quell'Amore che vi mettiamo per fare diventare il mondo una famiglia dove tutti si sentono fratelli e figli dello stesso Padre.
Ci sentiamo perciò mandati anche dalla comunità di Borgo Est per quell'aiuto a vivere la nostra fede che abbiamo ricevuto e condiviso (Pedro per la partecipazione e condivisione diretta dei vostri problemi; Giulio per il rapporto di amicizia con don Carlo e con i giovani del PIME che sono passati nella comunità di Borgo Est).
Ci ricordiamo spesso, con commozione, della rappresentanza della comunità di Borgo Est
alla partenza da Linate di ciascuno dei due.
La nostra prima preoccupazione ora è quella di credere davvero.
Credere che è lo Spirito che fa la Comunione tra noi e con le persone.
Credere che quello che conta non è l'essere battezzati o dire la messa, ma è cercare il Cristo incarnato nelle persone e nelle situazioni.
Siamo convinti che la faccia di Cristo la troviamo scolpita nella faccia delle persone che ci circondano.
Per noi quindi il fatto di fare comunione fra noi è indispensabile.
Concretamente lo stiamo realizzando tra noi due e un giovane balanta, Joaquim, che vive con noi e fa da maestro nel villaggio balanta di Sua.
Preghiamo insieme e cerchiamo di lasciarci convertire.
Cerchiamo di estendere questa nostra comunione mantenendo rapporti il più intensi possibili con i nostri confratelli missionari della Guinea.
Scriviamo loro ed ogni tanto andiamo a passare qualche giorno con loro per aiutarli nei vari problemi di apostolato e di impostazione di vita.
Con la gente qui di Catiò cerchiamo di vivere questa comunione cercando di essere il più possibile attenti alle persone, specialmente ai poveri, ammalati e a quelli che sono soggetti a ingiustizia (in questo periodo della semina siamo particolarmente attenti alle famiglie che non hanno riso per mangiare e tanto meno per pagare gli operai che le aiutano nella semina).
Siamo a contatto con tre ambienti differenti, ma che hanno in comune il problema di far fronte alle più fondamentali esigenze della vita e la situazione di sofferenza causata dalla situazione di guerriglia.
- I Balanta di Sua coi quali ci sentiamo già in amicizia per contatti avuti quando c'era ancora il p. Salvatore.
Noi due non conosciamo ancora la lingua balanta, ma una volta alla settimana abbiamo con loro un incontro di preghiera basato sull'ascolto e la riflessione dalla Parola di Dio, con canti composti da uno della comunità e preghiere: il tutto in lingua balanta (Joaquim ci fa da valido interprete).
- La comunità dei Fulas (musulmani): con loro non abbiamo ancora avuto contatti; solo pochi incontri con le singole persone; anche nei loro confronti non intendiamo assolutamente 'convertire', ma cercare una maniera di condividere e metterci a pregare con loro.
Per noi fare il missionario vuol dire cercare delle persone con le quali condividere e volerci bene.
Lo Spirito di Dio è in tutti e cerca di farci diventare una famiglia.
- L'ambiente della "praça": con una mentalità e uno stile di vita tutto particolari.
La maggior parte di loro si dicono Cristiani, ma sono rarissimi i casi in cui la mentalità e la vita risultano animati dalla fede.
Anche tra di loro però abbiamo incontrato uno che, pur avendo tre mogli, è un esempio di fede profonda.
A sentirlo parlare delle vicende della sua vita e a manifestare la fede che ha dentro, sembra di leggere il libro di Giobbe.
Con i pochi (una dozzina) che vengono alla messa domenicale stiamo iniziando un discorso sulla linea della comunità fraterna.
Prima la ricerca della vita di fede (= l'essenza del Vangelo), poi si amministreranno i sacramenti.
Oltre ai contatti con le singole persone - e pensiamo tra poco anche con le famiglie - cerchiamo di portare avanti questo discorso durante la liturgia della Parola / alla messa della domenica), fatta in maniera molto famigliare come conversazione sulla Parola di Dio prima di mettere i paramenti per la liturgia eucaristica.
Uno dei problemi che noi due sentiamo più vivamente, perché condiziona fortemente il nostro desiderio di condivisione, è quello della struttura in cui ci troviamo inseriti e della quale ci è per ora impossibile prescindere.
Tra gli elementi più condizionanti di questa struttura risultano maggiormente:
- la nostra posizione di 'privilegio', dovuta a una lunga tradizione europea del modo di concepire il 'prete' e al modo in cui è stato ed è presente da secoli il 'bianco' qui in Guinea;
- il fatto di abitare una bella casa, che se anche povera nei confronti della normalità delle case italiane, è un lusso nei confronti dell'abitazione di questa gente;
- l'essere stipendiati dal Governo Portoghese
(con conseguenti
condizionamenti).
In tale situazione ci sembra che l'autenticità evangelica richieda da noi di vivere la povertà nella linea della solidarietà, cioè mettendo praticamente a disposizione di tutti quello che abbiamo e soffrendo per la posizione di privilegio a cui siamo costretti.
I problemi pratici che dobbiamo e dovremo affrontare giorno per giorno, per essere fedeli alla ricerca di questa autenticità evangelica,
sono
numerosi.
Pensiamo che il dialogo che noi gradiremmo mantenere con la comunità di Borgo Est ci possa aiutare molto in questa nostra ricerca.
Soprattutto confidiamo nel vostro ricordo e nella vostra solidarietà sul piano della fede, per non chiuderci troppo alla grazia che lo Spirito di Cristo dà sempre in abbondanza per il costituirsi della famiglia di Dio.
Noi vi assicuriamo la nostra unione e il nostro
frequente e vivo
ricordo.
Un saluto a tutti, nel Cristo Gesù che ci salva.
Vostri Pedro e Giulio" |
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"Carissimo |
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don Giuseppe Barbaglio" |
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"Lì, 5 maggio 1974
Carissimo don Giuseppe Barbaglio
Approfitto della venuta in Italia di due Suore che lavorano nelle nostre missioni per comunicarti - finalmente - qualcosa circa gli argomenti che sarebbe utile trattare nel nostro incontro comunitario del prossimo luglio.
Prima di passare a tale assunto, alcune notizie.
Certamente avete appreso e forse anche seguito i recenti avvenimenti di Lisbona.
Il colpo di stato della Giunta Militare (con a capo il Gen. Spinola, già governatore qui in Guinea), con la conseguente soppressione della DGS (= polizia segreta) e liberazione dei detenuti politici, fa sperare che le cose comincino a muoversi un po' dall'empasse in cui si trovavano, anche per quanto riguarda la situazione qui nell'Ultramar.
Frattanto qui la guerra continua e la situazione è più o meno quella che hai trovato qui tu due anni fa.
Speriamo che l'evolversi delle cose in questi prossimi due mesi non ci impedisca di realizzare il nostro incontro comunitario e che tu non abbia difficoltà ad ottenere in tempo il permesso di venire qui.
Riguardo agli argomenti da affrontare nel nostro incontro, ti posso dire quanto segue.
Dai contatti avuti con i miei confratelli, ho avuto una chiara segnalazione dell'urgenza di presentare e affrontare nel prossimo incontro una problematica che è molto viva in molti di noi, naturalmente con sfumature e orientamenti diversi.
Fondamentalmente tale problematica si allinea sulla attuale 'CRISI DELL'EVANGELIZZAZIONE', di cui parla chiaramente anche il Documento preparatorio al prossimo Sinodo dei Vescovi ('L'Evangelizzazione del mondo contemporaneo'; cfr. testo in: Regno-docum. 15/1973, pagg. 390 ss.).
Per noi qui, tale "crisi" viene aggravata dal fatto che la necessaria 'conversione' di mentalità e atteggiamenti esigita per la Chiesa attuale (e, quindi, soprattutto per noi missionari), viene a incontrarsi e a scontrarsi con un tipo di impianto della presenza e attività missionaria creato e continuato sulla linea dell'antica concezione - cosiddetta 'saveriana' - delle missioni.
Secondo molti di noi, una nostra 'conversione' ad un annuncio che sia attualmente più adeguato alle esigenze evangeliche e alle esigenze dei nostri fratelli africani, non è possibile senza un contemporaneo smantellamento delle vecchie strutture e il porsi concreto di nuovi modi di presenza coerenti con tale conversione di mentalità (= rapporto dinamico tra mutamento di mentalità e mutamento di strutture).
Come vedi, si tratta di una problematica che è di tutta la Chiesa attuale, ma che per noi è particolarmente grave, date le sue pesanti incrostazioni che l'impianto missionario ha dovuto ulteriormente subire dal prolungarsi della presenza coloniale e dai particolari legami e dipendenze in cui la Chiesa storicamente si è lasciata impelagare finora, specialmente nell'Ultramar portoghese e dai conseguenti e naturali influssi negativi che tutto questo ha comportato e comporta sulla mentalità e sugli atteggiamenti di noi missionari.
Tu conosci già abbastanza bene la composizione 'umana' della nostra comunità pimina di Guinea (anche i cinque nuovi che si sono aggiunti in questi ultimi tempi).
Di fronte alla suddetta problematica, ci sono naturalmente atteggiamenti diversi, che mi sembra di poter schematizzare (Att.!! Si tratta
di 'schematizzazione'!) così:
- alcuni non avvertono una forte esigenza di mutamenti, convinti che la linea seguita finora sia sostanzialmente valida ancora, accettando - per dovere di obbedienza - di cercare di adattarsi a quei mutamenti (da altri ritenuti solo 'accidentali') sul piano pastorale e liturgico, che continuamente vengono richiesti dai documenti ufficiali della Chiesa del post-Concilio;
- altri avvertono vivamente l'esigenza di un mutamento, sia di mentalità che di strutture; sembrano però orientarsi su una linea 'riformista', cioè di graduali mutamenti, in attesa che, con l'evolversi della situazione politica e sociale, ci vengano imposti dall'esterno dei mutamenti radicali;
- altri ancora, si trovano in un grande disagio interiore e spirituale di fronte all'attuale presenza della Chiesa in Guinea e di fronte a quelle che essi avvertono essere le esigenze della gente di qui (anche se, naturalmente, non esplicitamente avvertite dalla stessa gente);
questi confratelli si stanno chiaramente orientando a delle scelte radicali, e cioè a ricercare uno smantellamento sostanziale delle attuali strutture e impianti, ricercando contemporaneamente nuovi gesti, nuovi modi concreti di presenza e di attività missionaria, coerentemente con il maturarsi di una 'conversione' della loro mentalità.
Naturalmente le soluzioni e le scelte concrete di questi ultimi variano in base alla diversa configurazione della loro personalità, alla loro storia precedente e alle loro capacità e possibilità sul piano umano e spirituale.
Qualcuno (tra questi ultimi) pensa anche che - presentandosi come praticamente impossibile, entro una ragionevole scadenza di tempo, un mutamento adeguato - si imponga per lui l'esigenza di lasciare fisicamente l'attuale situazione, per cercare un modo di servizio all'annuncio che ritiene più coerente con le esigenze attuali dell'umanità e della Chiesa.
Penso che questa descrizione che ti ho fatto (anche se succinta e involuta nell'espressione), sia sufficiente per te, per pensare a quale tipo di aiuto ti sembrerà meglio portare alla nostra comunità con le tue comunicazioni e con il tuo inserirti vivamente (come hai fatto l'altra volta) nel nostro travaglio di ricerca, che questa volta si prospetta molto vivace e con possibilità di decisioni abbastanza 'gravi' da parte di alcuni di noi.
Io penserei che sarebbe molto pertinente alla nostra situazione che tu ci aiutassi a capire meglio:
1. che cosa significhi e come dovremmo concepire e sentire il 'NUOVO' portato da Cristo;
2. quale tipo di mentalità (nei suoi elementi più essenziali) comporti questo 'NUOVO';
3. quali implicanze (di mentalità, di atteggiamenti e di gesti concreti) abbia per la 'Chiesa che annuncia' ( e in particolare per noi missionari) l'Annuncio del Vangelo (cfr. specialmente: Filipp. 2,5-11 = adesione alla volontà del Padre, che esige 'spogliamento' per essere su un piano di 'parità' umana con tutti gli uomini, ecc.
- N.B.: qui potrebbe anche entrare la trattazione dell'argomento proposto da uno di noi: 'Evangelizzazione come attenzione alle esigenze socio-culturali e religiose della gente con cui viviamo');
4. il tutto applicato alla situazione concreta in cui attualmente ci troviamo noi missionari (e la Chiesa in genere) qui in Guinea, in vista di una spassionata revisione della nostra mentalità e delle nostre strutture di fronte alla Parola di Dio;
5. aiutarci a chiarire il necessario rapporto 'dinamico' tra 'conversione' della nostra mentalità e gesti concreti di superamento sul piano delle strutture;
6. sarà bene dare qualche indicazione dei criteri da seguire per chi - in coscienza - si è orientato o si sta orientando a delle scelte personali che apparentemente possono risultare di 'rottura', ma che di fatto possono essere esigenze imposte a lui da una ricerca di conversione personale a servizio della Comunione e della Missione nel momento attuale della Chiesa e della sua vita personale.
Data la 'gravità' e la delicatezza di tale nostra problematica, p. Faccioli e io abbiamo ritenuto opportuno invitare a presenziare al nostro prossimo incontro anche uno dei membri della Direzione Generale dell'Istituto.
Attendiamo una risposta in proposito.
Nel caso fosse affermativa (e ci giungesse in tempo utile), ti daremo comunicazione in modo da poter combinare - se possibile e se lo riterrai opportuno - un contemporaneo arrivo qui di te e del padre della Direzione Generale.
Comunque questo non deve assolutamente intralciare i tuoi programmi personali.
Qualora desiderassi ulteriori specificazioni circa gli argomenti da trattare, scrivimi al più presto.
Ringraziandoti ancora per la tua disponibilità a 'darci una mano', ti saluto fraternamente con un arrivederci tra neppure due mesi (tieni presente che l'incontro si potrà incominciare il giorno 3 luglio, mercoledì).
Al mio saluto si unisce espressamente quello, altrettanto caldo e riconoscente, di p. Mario Faccioli.
Ricordiamoci al Signore Aff.mo p. Giulio Barlassina" |
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