"Per non dimenticare", di Massimo Perugini,
è articolato in due sezioni,
una che descrive
i fatti del dopo 8 Settembre '43, l'altra il pre e
il
post guerra fino e oltre il boom economico,
a Bracciano e dintorni, è
un'eccezione
nella regola.
Se il pensiero dominante cela, trascura e
svaluta il mondo cosiddetto
comune, quello
della massa di noi poveri cristi (minuscolo),
di cui, per
secoli, sono stati svalutati, trascurati
e distrutti abiti, oggetti,
strumenti, modi
di lavorare, di nutrirsi, di socializzare, di vivere
e
di morire, le opere, cioè, dei senza potere,
dei paria senza casta,
Massimo Perugini,
penetrando nel mondo agricolo artigianale
di quegli
anni, rimasto quasi intatto per secoli
nella sua struttura, sceglie di
andare
semplicemente contro corrente.
Con tutta la forza e l'amore di cui
dispone,
si oppone alle cancellazioni materiali che
hanno provocato e provocano inaccettabili
vuoti di memoria;
cancellazioni che,
volenti o nolenti,
attanagliano e trasformano, rendendo tutti
sempre più
proni all'osservazione distratta,
al consumo rapido, al rapido guadagno,
omologando pensiero e comportamenti,
quasi meccanicamente, verso modi di
vivere
preconfezionati ("fast
life").
Anche nella scuola,
nei nostri desideri più
che nella realtà
pilastro della memoria storica,
restano, purtroppo, ancora oggi, solo
le
cosiddette "grandi" opere.
Quello che non ha mai fatto testo, anche
perché non scritto, seguita a
non esistere,
provocando l'analfabetismo di ritorno della
nostra
"modernissima" cultura dominante.
La pace e la guerra, la vita e la
morte,
che Massimo rappresenta, non sono fatte
di grandi, scenografiche
imprese;
sono piuttosto una miriade di episodi,
situazioni, emozioni, paesaggi,
dimenticati o
nascosti, seppur di valore inestimabile:
mai vanamente
epici, sempre capaci
di suscitare sdegno o commozione o di farci
avvertire lo straordinario, popolare, tessuto e
vissuto del suo
territorio, cui, da sempre,
orgogliosamente, appartiene.
I grandi
scenari bellici convivono con le fatiche
della sopravvivenza quotidiana
e Massimo
restituisce loro valore, dando senso
preminente alla vita.
Si ferma
sul dolore per le centinaia di migliaia
di morti
inutili, misconosciute e
disconosciute
di Dresda, con la stessa attenzione e la stessa
rabbia,
con cui disegna, umile Guernica,
lo straziante episodio di un asinello
che,
sulla strada per Trevignano, ha la testa
troncata di netto da uno
spezzone di bomba;
bomba che uccide altrettanto miserevolmente
il
contadino braccianese che lo monta, che
ha un nome ed un cognome,
responsabile solo
di passare per di là:
vittima civile, come troppe
altre, d'incivili
eventi.
Non sono i
tanti morti ad impressionare
l'autore e chi legge,
ma i tutti, che sono i tanti
uno per uno, con la propria vita, la
propria
simpatia, il proprio lavoro:
il semplice, straordinario, cioè,
essere
se stessi.
La guerra è, anche e perciò, per Massimo,
quella,
minuta e terribile, apparsa per un attimo
negli occhi del bambino che,
affacciato
al balcone di casa, a Ronciglione, vede arrivare
coloratissimi aerei con coloratissime ogive.
Il "regazzino" li conta e grida di
gioia che
"sono due, no, tre, mamma, sono più di ieri,
sono tanti";
e fantastica e gioca a fare il grande
con la madre che stira nella
stanza, mentre
quei messaggeri di morte scaricano
sul suo sorriso, sul
suo entusiasmo, su tutto
un paese "al lavoro intento", tonnellate
di bombe.
Paesi, pieni di vita, di odori, sapori, rumori,
affetti, costumi, opere,
personaggi, mestieri,
dai quali Massimo bambino rimane così
affascinato
da trasferire, in chi legge oggi,
entusiasmo, dolore e sorpresa,
attraverso
il racconto minuzioso dei gesti, dei colori,
delle parole,
delle carezze, delle attenzioni,
dei proverbi, delle merci, delle
ricette.
Nostalgia, sì, ma
non solo: per le emozioni,
i movimenti perduti, gli itinerari scomparsi.
La memoria rivive lo splendido quotidiano:
le fitte relazioni con i
nonni, i tanti nonni,
con le madri, le tante madri, le campagne,
le
botteghe, le vie e le piazze;
i giochi pericolosi, i rapporti intessuti,
gli aneddoti, le tradizioni, il dialetto e i modi
di dire; e quella
"necessità" economica e
sociale, che si fa sostanza pedagogica quando,
come avveniva allora, rende indissolubile
il nesso tra esperienza
quotidiana, regole ed
insegnamenti, che nella vita, ancor più che
a
scuola, trovavano sostanza.
Episodi, ambiente, situazioni, che, attraverso
il sorriso, vicino alle
lacrime, che talvolta
ti scendono dagli occhi, rivelano un territorio
ricco di potenzialità e di risorse, sempre pronto
a lavorare,
progettare, trasferire conoscenze,
competenze e manufatti verso l'Italia
intera e
oltre, grato, quasi, di poter dare se stesso
come le proprie
buone acque, a molini,
industrie e fontane, giungendo lontano, anche
a
Roma e per secoli, a disegnare, quasi,
un cordone ombelicale con il
perfido,
imperturbabile, Stato Pontificio.
Su tutto e tutti,
(per niente) immobile,
sta il Lago.
Mauro Sarnari
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