Il
Cristo storico non
è certamente quello
“teologico”
di
sapienti
filosofi bizantini
tra il
IV e V sec,
quel “dio-
uomo” dichiarato nel
“Credo”
dei
“Concilî” di Nicea e
Costantinopoli, da cui la conseguente
condanna
nel
Concilio di Calcedonia delle inevitabili
“secessioni” o
haireseis,
eresie,
che ne accettino o solo il divino o solo
l'umano...
Le
fonti antiche non bibliche né
cristiane, pur se
poche e
generiche,
ci consentono nondimeno un qualche
accesso
a
risorse indipendenti
che documentino l'atteggiamento
dei contemporanei verso il Rabbino
“Yehoshua Ben
Yosef”, in Italiano detto “Gesù,” e le
sue opere.
Si tratta di
testi
di
autori greci, romani ed ebrei,
ma in
gran parte risalenti al
II
sec - come
Plinio il Giovane,
Tacito,
Svetonio,
Adriano e
Trifone Giudeo, o al
III sec
-
come
Apuleio,
Frontone,
Luciano,
Marco
Aurelio, Galeno,
o ancora del
IV
sec, - come
Celso Epitteto.
Alla ricerca di
testimonianze più “vicine”
al
Cristo
storico,
al di fuori della cerchia
dei diretti interessati,
ne
possiamo trovare nel
I sec
- Tallo
52 dC,
Caritone e
Petronio
54-68,
Mara bar Serpion
73-74, filosofo stoico
siriaco.
Una di
particolare interesse
proprio alla fine del I sec
in
“Guerra
giudaica”, 75-79 dC,
e poi in
“Antichità
giudaiche”, 93-94 dC,
il cosiddetto
“Testimonium
Flavianum” dell'ebreo
יוסף בן מתתיהו,
Yōsef ben
Matityāhu, latinizzato
Titus Flavius Josephus,
“Giuseppe
Flavio figlio di Mattia”,
o semplicemente “Giuseppe”,
storico romano
nato a Gerusalemme tra il 37 e il 38 dC e
morto a Roma intorno all'anno 100.
Sacerdote,
guida
trentenne i
ribelli della Galilea
in
rivolta
contro l'esercito romano nel 66 dC,
in una guerra
di quattro anni,
che si concluderà con la
distruzione di
Gerusalemme,
tempio incluso, finendo poi a lavorare
proprio per i Romani
come storico
presso
il comandante
quelle forze romane che lo avevano sconfitto, tale
Tito
Flavio Vespasiano,
il futuro imperatore (da cui
l'appellativo o
nomen “Flavio”).
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