Originale e non poco "pazzo"-artistico-esibizionistico ritratto di un

Gian Luca (Garagnin-) Fanfogna jr, vissuto fra il 1851 e il 1902, nipote

del Gian Luca Garagnin di cui parliamo.

 

Qui, in teatrale posa a seconda metà dell'Ottocento, elegantissimo

- bombetta, occhiali, barba coltivata, cravatta, completo, soprabito

lungo, scarpe lustre nonostante la terra e la polverosa ghiaia del

giardino - su una scala a libretto davanti a quello che ancora era il

cosiddetto "Casinetto delle Delizie" del Parco...

 

Lo stereotipo incarnato del vero Signore intellettuale di una borghesia

neo-nobile, forse di ispirazione aristocratic blue blood and old money

British style.

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Una prima contestualizzazione

 

                                   

 

                                   

 

                                   

La politica, l'economia, la massoneria, il feudalesimo residuale, gli

intellettuali, le mode, la cosiddetta "fisiocrazia" e le nuove idee

rivoluzionarie è l'insieme di tutto quel mondo in bilico tra l'essere

e il divenire a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento, un vecchio

mondo alla ricerca di rinnovarsi, il quale porta alla creazione del

Parco Garagnin-Fanfogna a Traù.

 

E, tra l'altro, una panoramica di fondo sul "perché" l'eredità

culturale romana ed italiana incontri ancora oggi in Dalmazia di

per sé molto comprensibili "resistenze emotive", latenti o

esplicite.

 

 

Purtoppo però talvolta miste a decisamente meno accettabili,

imperdonabilmente esagerati e generalizzanti risentimenti

opacamente ideologici, che finiscono per esprimersi anche in

intollerabili atteggiamenti "antistorici", da parte di politici, (cosa

che di per sé non meraviglia più di tanto, dato il loro mestiere di

tenersi a galla cavalcando l'onda), di personalità culturali e,

addirittura, di "addetti ai lavori".

 

Intendiamoci bene, anche questa mia ricerca, documentazione ed

analisi è tout dans une vision "objective" entièrement subjective,

bien sûr - inevitabile...

 

                                   

 

                                   

                                   

 

                                   

Illuminismo

 

                                   

Fisiocrazia e Liberalismo

 

                                   

 

                                   

 

                                   

La cosiddetta "Fisiocrazia" o "governo della natura" - dal Greco

antico φύσις phýsis, fùsis, natura, e κρατία, kratía, governo - è

innanzitutto una dottrina economica francese di metà XVIII sec (in

contrapposizione a industrialismo e mercantilismo soprattutto

inglesi) con fini molto pragmatici, volti a migliorare le non ottime

finanze nazionali di una Francia ancora prevalentemente agricola,

attraverso la migliorata produttività dei grandi latifondi

dell'aristocrazia.

 

È il medico ed economista François Quesnay che nel suo

"Tableau économique" del 1758 la lancia sulla considerazione di

come "a fondamento di ogni altra attività economica" sia

l'agricoltura, di fatto unica produttrice di "beni", mentre industria

e commercio si limitino, rispettivamente, l'una a trasformarli e

l'altro a distribuirli.

 

 

Il pensiero fisiocratico non va quindi a comprendere lo scambio

dei prodotti come momento di creazione di ricchezza, eleggendo a

perno teorico il cosiddetto "prodotto netto" o "surplus", vale a

dire il guadagno economico una volta dedotte le spese di

produzione, da cui la superiorità dell'agricoltura.

 

L'agricoltura non solo è capace di fornire materie prime e

nutrimento, essenziali alla comune sopravvivenza, ma, con l'aiuto

delle forze della natura, anche di moltiplicare il rendimento del

lavoro umano, permettendo così di reinvestire nel ciclo agricolo,

vuoi via via migliorando ulteriormente la produttività dei terreni,

vuoi educando una manodopera sempre più qualificata,

stimolando ricerca botanica sperimentale e creazione

ingegneristica di innovative macchine agricole, in un circolo

eccezionalmente virtuoso.

 

 

L'impatto sociale che ne deriva suddividerà in categorie

"funzionali" chi sia coinvolto nei processi del ciclo produttivo,

creando di conseguenza:

 

- una classe "oziosa" (dal Latino otium, nel senso di "pensante e

pianificante") di proprietari che investano i necessari capitali

iniziali

 

- una classe "produttiva" di contadini, ma moderni e

professionalmente aggiornati, che coltivino al meglio la terra

 

- una residuale cosiddetta classe "sterile", cioè non-produttiva,

questa composta da chiunque altri trasformi (industriali),

distribuisca (commercianti) o semplicemente utilizzi

(consumatori) i beni così prodotti.

 

 

Questa nuova visione socio-economica, chiamata "sistema

agricolo" ovvero "dottrina dei filosofi economisti", avrà notevole

influenza tra il 1750 e il 1780, con un apice di popolarità intorno

agli Anni Settanta del secolo.

 

Un'idea di libero mercato che ispirerà lo stesso Adam Smith,

anche se verrà da questi successivamente rifiutata e contrastata

con la formulazione di una teoria contrapposta, quella del "valore

basato sul lavoro".

 

 

I Fisiocratici arriveranno dal canto loro addirittura a caldeggiare la

nascita di un "buon governo basato sul dispotismo", fino a quel

momento forma di governo da sempre considerata "corrotta" nel

pensiero classico.

 

Un unico individuo sapiente ed oculato con pieni poteri a guida

dei suoi sudditi verso bene e benessere, una sorta di dittatore

"illuminato", riferendo al concetto di un ordine "naturale"

preesistente e sovrastante a qualsivoglia altro ordinamento

"positivo", creato cioè dall'uomo.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Disegno planimetrico del 1771 di una sorta di "serra climatizzata" sperimentale (la

struttura in alto a destra nella piantina), una innovativa "orangerie" o giardino d'inverno,

in Italiano a seconda della coltura conosciuta anche come "orangeria", "limonaia" o

"cedraia".

 

Uno spazio cioè per far svernare piante di agrumi, altre piante da frutto e piante

esotiche in aree geografiche in cui le avverse condizioni climatiche non ne

consentirebbero la sopravvivenza all'esterno, aiutandole progressivamente ad

adattarsi al nuovo clima, il tutto in uno speciale edificio solitamente annesso ad una

villa o un palazzo.

 

In effetti ulteriore fase della cosiddetta "domesticazione" iniziata oltre 10 mila anni fa

- se vogliamo ampliare la prospettiva storica - ininterrotto proseguimento evolutivo

artificialmente indotto dalla rivoluzione agricola del Neolitico.

 

Infatti in Dalmazia - strano se non quasi impossibile immaginarsela oggi senza i suoi

fantastici limoni, mandarini e clementine - all'epoca non esistono ancora colture di

agrumi, le quali vengono qui introdotte con successo proprio attraverso il lavoro

pionieristico e lungimirante di agronomi, economisti ed imprenditori come Gian Luca,

in Croato Ivan Luka, Garagnin e suo fratello Gian Domenico, ovvero Ivan Dominik.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Per non rischiare di leggere erroneamente queste posizioni

partendo dalla nostra prospettiva storica odierna, occorre

comprendere lo spirito "liberatorio" del tempo in cui gli Illuministi

cercano di rivoluzionare il modo di fare economia, rendendola

libera.

 

All'epoca in circostanze in cui non a tutti è dato commerciare

senza una serie di speciali permessi, in cui per comprare e

vendere anche tra città e regioni di un medesimo Stato si pagano

ancora una serie di salatissimi dazi e dogane, che di certo non

stimolano l'economia, e in cui le ancora vigenti "corporazioni", di

stampo medievale, continuano ad ostacolare efficacemente o

bloccare del tutto l'ingresso di nuovi soggetti, nuove proposte e

nuove modalità nelle attività economiche.

 

 

In pratica Quesnay, autore di un paio di articoli, fra cui uno dal

titolo "Grani", nella famosa "Enciclopedia [francese] o Dizionario

ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri", Encyclopédie, ou

Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, altro

non fa che proporre una più moderna forma di economia.

 

Lo fa promuovendo soprattutto una libera produzione e

commercializzazione dei cereali attraverso una politica meno

vessatoria e più a favore della proprietà agraria, criticando quindi

il modello economico "mercantilista", che, al contrario, privilegia

fino ad allora lo sviluppo delle manifatture.

 

 

Come tutti gli assertori del cosiddetto "Liberismo", suggerisce

insomma che lo Stato non ostacoli in alcun modo gli imprenditori

- a colpi di leggi e normative - nei settori economicamente

fondamentali per la nazione, ma anzi li stimoli ad una sana ed

aperta concorrenza, migliorando quantitativamente e

qualitativamente la produzione, processi e prodotti, ad evitare di

fatto nello specifico il susseguirsi di carestie dovute a mancanza

di grano, come più tardi sarà ancora il Liberismo a sostenere

anche la Prima Rivoluzione Industriale.

 

Questo fermento di idee, che contribuiranno a creare i presupposti

della società moderna, fa parte dell'eredità dell'"Illuminismo",

corrente di pensiero fra la Rivoluzione Inglese del 1688 e quella

Francese del 1789, un'evoluzione culturale senza precedenti in

fatto di religione, scienza, filosofia, politica, economia,

storiografia, letteratura e quant'altro, che dunque ben giustifica la

metafora altisonante della luce, nelle varie lingue:

"Âge des lumières", "Enlightenment", "Aufklärung".

 

 

In pratica comporta la secolarizzazione e laicizzazione della fino

ad allora stradominante idea di "(Divina) Provvidenza" in

"progresso", come attività storica umana, "luce della ragione" e

non rivelata, scoperta delle leggi naturali, sconfitta di fanatismi e

superstizioni, che caratterizzerà la crescente egemonia di una

"borghesia" agricola, commerciale e industriale in lotta contro le

sopravvivenze di un mondo medievale, il suo modus vivendi

obsoletamente feudale.

 

 

Nella religione l'affermazione epocale dell'autonomia della

ragione, in scienza e filosofia maturazione da razionalismo ed

empirismo alla "gnoseologia" o teoria della conoscenza ed una

concezione non speculativa della filosofia.

 

In politica un pragmatico impegno riformistico, a cambiare i

rapporti sociali adattandoli alla crescente incidenza di tecnologia

e scienza nella vita associata.

 

In giurisprudenza la critica a tradizione, istituzioni, ordine morale

e normative vigenti con sbocco nell'individualismo, attribuendo

un ruolo centrale al singolo cui vengono riconosciuti nuovi diritti,

per la prima volta codificati proprio in Francia nella cosiddetta

"Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", "Déclaration

des droits de l'homme et du citoyen", del 1789, anno zero del

calendario rivoluzionario.

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

La famiglia Garagnin-Fanfogna

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Quella alla sommità del grande cancello d'ingresso al Parco è una

versione in lamiera e ferro battuto dello stemma di famiglia dei

Garagnin o Garanjin di Traù.

 

 

La corona araldica simboleggia il titolo di Conti, acquisito per

matrimonio nel 1840 fra la Baronessa Caterina Garagnin ed il

Conte Antonio Zoilo Fanfogna, lei figlia del Barone Gian Luca

Garagnin e della Contessa Francesca Caterina Elisabetta Maria

Borelli, Contessa di Vrana.

 

I due avranno cinque figli, quattro maschi e una femmina

- Ruggero Angelo Fanfogna Fanfonja, Gian Domenico Fanfogna,

Diamante Fanfogna, Gian Luca Fanfogna e Colano Giuseppe

Maria Fanfogna - di cui al quartogenito, Conte Gian Luca

Fanfogna, nella famiglia terzo "Gian Luca" in ordine cronologico,

nel 1851 verrà appunto dato il nome del nonno materno.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Stiamo parlando quindi dell'aristocrazia dalmata nonché parimenti

degli intellettuali dell'epoca, per di più con acclarate radici

italiane, una combinazione che un secolo più tardi si dimostrerà

estremamente esplosiva...

 

Come nel caso del Conte Giovanni Antonio "Nino" Fanfogna,

figlio di Colano Giuseppe Maria, che trentaduenne "irredentista"

emulatore dannunziano e discendente dell'ultimo Podestà italiano

della Città, in un purtroppo rimasto famoso e, a dire il vero,

semicomico incidente nel 1919 tenterà senza successo di

"occupare" Traù.

 

 

La cittadina, esclusa solo per una quindicina di chilometri da

quelle aree della Dalmazia assegnate amministrativamente all'Italia

dal Trattato di Londra del 1915, secondo i deliranti "piani" avrebbe

dovuto essere annessa alla zona "italiana" con l'uso della forza

militare...

 

Da qui la lunga scia di tragiche conseguenze di quei "risentimenti

popolari", ma non troppo, perché dietro tali moti "spontanei" c'è

sempre ed inevitabilmente una pianificazione strategica politica

che li aizzi e nutrisca, trascinatisi fino ai "fattacci" di fine Seconda

Guerra Mondiale.

 

 

Prima nel settembre 1943, alla caduta del Fascismo in Italia, con

134 Italiani uccisi, e, di nuovo, nel 1945, alla capitolazione della

Germania e dei suoi pochi rimasti Alleati, cioè del residuale

Regime Fascista nella cosiddetta Repubblica Sociale Italiana al

Nord, ovvero del Nazismo tedesco.

 

Nella seconda ondata con ben più studiate, crudeli, devastanti

"punizioni" e "vendette" anche private, poi sfociate in vera e

propria pulizia etnica contro interi gruppi locali della grande

popolazione italiana o italofona in Istria e Dalmazia, volutamente

ed indiscriminatamente associata al Fascismo dalle nuove forze

politiche emergenti, per più che palese convenienza predatoria.

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

Gian Domenico o Ivan Dominik Garagnin-Fanfogna

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Radicatamente Traurini

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Un ramo famiglia aristocratica dei Garagnin arriva a Traù nel XVIII

sec, come lo conferma la documentata morte nel 1783 del primo

Ivan Luka, Vescovo di Arbe/Rab nel 1760 ed Arcivescovo di

Spalato/Split dal 1765 al 1783.

 

 

Tra fine XVIII e prima metà XIX sec poi forse il rampollo più

importante della famiglia, il secondo Gian Luca o Ivan Luka, nato

nel 1764 e morto nel 1840.

 

Uomo di alta cultura del suo tempo e come tale responsabile della

prima "sistematica" indagine archeologica di Salona, ed insieme

intraprendente uomo d'affari, convinto sostenitore

dell'introduzione di metodi moderni nell'agricoltura dalmata,

co-fondatore dell'"Accademia Economica di Castelli/Kaštela - Traù

/Trogir" (corrispondente ad una Camera di Commercio dei nostri

giorni).

 

 

Della famiglia Garagnin poi Ivan Dominik o Gian Domenico, nato

nel 1761 e morto nel 1848, durante il periodo amministrativo

francese della Regione Governatore di Ragusa/Dubrovnik (la

spesso dimenticata "quinta" grande Repubblica Marinara) e

Cattaro/Kotor o Котор (oggi nel Montenegro/Crna Gora o Црна

Гора) per un decennio.

 

Dal 1808 al 1818, Cavaliere della Légion d'Honneur dal 10 gennaio

1810 e Barone dell'Impero Francese dal 23 febbraio 1812, cui il

successivo Governo Austriaco concederà conferma di nobiltà nel

1823.

 

 

Nel 1840 infine si andrà a creare, come già visto all'inizio, il ramo

familiare Garagnin-Fanfogna/Garanjin-Fanfonja, passandone il

titolo da Baroni a Conti.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Lo stemma lapideo dei Garagnin-Fanfogna, in pietra locale, ancora oggi sull'ingresso

del Palazzo attualmente adibito a Museo Civico, proprio sulla Piazzola d'ingresso alla

Città di Traù, attraverso l'attuale Nuova Porta di Terraferma

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Di particolare interesse in questo contesto il già su introdotto

Barone Gian Luca Garagnin, quello che nasce a Traù nel 1764

dalla nobile famiglia italiana ormai divenuta traurina, per le

conclusioni della sua analisi politico-socio-economica.

 

 

Deve semplicemente prendere atto di come la regione dalmata

sotto le vigenti circostanze, condizioni e normative veneziane non

sia in grado di superare la profonda crisi economica a seguito

delle devastazioni e del salasso erariale subiti durante le

estenuanti guerre turco-veneziane, che vedono contrapposti

l'Impero Ottomano e la Repubblica di Venezia nel XVI e XVII sec

per il controllo del Mediterraneo Orientale.

 

Questo nonostante la lungimirante politica economica attuata

dalla Serenissima in Dalmazia, con una serie di iniziative, vuoi il

commercio marittimo, vuoi la navigazione di piccolo cabotaggio,

la costruzione di infrastrutture quali ponti e strade, la promozione

di bonifiche e ripopolamento di campagne, col programma di

stanzialità dei Morlacchi, e di città, favorendo l'immigrazione

qualificata di colletti bianchi, maestranze e operai veneti.

 

 

È in questo contesto e con questa prospettiva che nelle città

dalmate verranno costituite Accademie o Camere dell'Agricoltura,

per studiare e risolvere gli innumerevoli problemi dell'economia

dalmata e lui stesso sarà membro autorevole di quella di Castelli

/Kaštela-Traù/Trogir, agronomo sperimentale e studioso di

economia agraria di tutto rispetto.

 

Anche dopo il collasso della Serenissima nel 1797 proseguirà la

sua attiva partecipazione alla vita politica schierandosi con i

movimenti filo-francesi, abbracciandone le idee liberali e

giacobine e considerando quindi convintamente il

raggiungimento delle libertà civili quale conditio sine qua non di

una auspicabile rinascita economica.

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

 

                                   

La residenza cittadina dei Garagnin, proprio all'ingresso del Centro Storico sulla citata

piazzola interna alla Nuova Porta di Terraferma, nonostante le dimensioni, in Croato

chiamata "via", "Ulica" Gradska Vrata, oggi sede del Museo Civico della Città di Trogir

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Basandosi su precedenti ricerche e studi denuncia come

l'aristocrazia dalmata possieda 1/25 dell'intero "Nuovo Acquisto"

veneziano, criticando l'esistenza dei latifondi la cui arretratezza

agricola sia proprio dovuta ad "abusivi diritti feudali", "fondi

inalienabili", burocrazia, mancanza di infrastrutture e classi sociali

fin troppo "oziose", anzi frenanti.

 

Prendendo ad esempio il modello toscano in Italia:

 

- ne suggerisce la coltivazione estensiva di vite ed ulivi in

Dalmazia

 

- propone di favorire l'insediamento stanziale dei Morlacchi

 

- e la redistribuzione di beni comunali demaniali agli abitanti del

luogo

 

- facilitandone l'accatastamento

 

- e abolendo il cosiddetto "erbatico", obsoleto tributo, anche

questo di stampo feudale, dovuto ai proprietari terrieri in cambio

del diritto di pascolo del bestiame e del taglio del fieno.

 

 

Tra i primi inoltre a riprendere ed elaborare i concetti di "Nazione

Dalmata" e "Popolo Dalmata" da proporre a Napoleone.

 

A questo fine il 10 agosto 1806, in qualità di Capo Delegazione

Dalmata delle Province Illiriche, tiene la sua allocuzione davanti

all'Imperatore a Parigi urgendo di attuare in Dalmazia quelle

riforme "che non possono più attendere", promuovendo anche un

progetto di legge sui rapporti di colonìa agraria, e farà

successivamente parte della Commissione per le Acque e Strade

in Dalmazia ed Albania e sarà Delegato Provinciale a Spalato e

Ragusa...

 

                                   

 

                                   

                                   

 

                                   

 

                                   

La vista del Parco dal terrazzo della residenza dei Garagnin, oggi sede del Museo

Civico, a dividerli soltanto la cosiddetta "Foša" o pantan, il fossato della fortificazione

veneziana a difesa del piccolo ponte, unico accesso alla Cittadina via terra dalla costa,

oggi "Canale San Marco" dalla torre omonima

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Proprio nell'intento di promuovere, rinnovare e modernizzare

l'agricoltura dalmata, del 1802 è la creazione a Traù del Parco

Garagnin, primo orto botanico in Dalmazia e riuscita

combinazione utilitaristica ed estetica di orto-giardino.

 

Gian Luca Garagnin vi arriverà a coltivare ben 359 specie di piante

e condurrà esperimenti di acclimatizzazione di piante esotiche,

abbellendone progressivamente gli spazi destinati a produzione

agricola con nuovi edifici "alla moda" e con preziosi reperti

archeologici trasferitivi dal sito archeologico della vicina Salona.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

Le proprietà immobiliari della potente famiglia traurina includono intra

moenia il Palazzo, il cui terrazzo Nord fra la l'Antica e la Nuova Porta di

Terraferma e, soprattutto, la "torretta" di studio, ispezione e

avvistamento sul culmine del suo tetto più alto, esattamente in asse

col nuovo Parco sulla costa a Nord, proprio al di là del fossato, a poco

più di un centinaio di metri di distanza.

 

Ancora oggi del Parco è infatti possibile goderne quasi la piena vista,

nonostante i nuovi alberi piantati sull'isolotto lungo il nuovo,

notevolmente ristretto canale e l'altrettanto sostanziale, ulteriore

innalzamento delle antiche costruzioni e dei nuovi edifici interposti in

tempi moderni.

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Durante il primo Governo Austriaco della Regione Gian Luca

Garagnin darà inizio nel 1804 alla primissima, se pur breve,

"campagna di scavi" a Salona - già capitale dei Dalmati, poi greca

e quindi romana, messa a ferro e fuoco dagli Avari nel 639 dC.

 

Almeno fino a che, ammalatosi, non sarà costretto suo malgrado

ad interromperli inviandone i reperti più significativi scoperti ad

arricchire le collezioni del Museo Imperiale di Vienna, come

esplicitamente richiesta condizione da parte della Corte degli

Asburgo, suoi sponsor.

 

Gli scavi verranno allora proseguiti, man mano con approcci e

metodi sempre più modernamente professionali e scientifici,

prima da Carlo Lanza tra il 1821 e il 1828 e poi, a partire dal 1843,

da Francesco Carrara, nominato "Direttore del Museo d'Antichità

di Spalato e degli scavi di Salona" (vedi il suo "Topografia e scavi

di Salona", Trieste, 1850).

 

 

Garagnin, intellettuale di spicco dell'epoca e uno dei maggiori

rappresentanti del movimento fisiocratico in Dalmazia, nei salotti

culturali aristocratici (e massonici) di Venezia fa conoscenza e

stringe amicizia con tra gli altri l'architetto neoclassicista

Giannantonio Selva, cui affida la realizzazione di diversi progetti,

per il Palazzo e il Parco di famiglia in Traù come pure, più

ambiziosi, fuori città.

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

Giovanni Antonio o Gian Antonio ovvero Giannantonio Selva,

architetto e architetto del paesaggio a cavallo tra Settecento e

Ottocento, esponente di primo piano del Neoclassicismo, allievo di

Tommaso Temanza, amico di Antonio Canova, titolare della Cattedra

di Architettura all'Accademia di Venezia, il più noto degli architetti

veneziani dell'epoca.

 

Già ancorato alla tradizione, passa al Neoclassicassicismo rigoroso

attraversando un "Neopalladianesimo semplificato", come testimonia

la sua opera maestra, il Gran Teatro "La Fenice" di Venezia del 1792

- dalle proporzioni corrette e povero di tem, poi il Tempio Canoviano a

Possagno ed i Giardini di Castello e della Giudecca ancora nella città

natale, acquistando competente autorevolezza apprezzata anche oltre

i confini della sua area socio-geografica.

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Un inaspettato Giannantonio Selva

 

                                   

in quel di Traù

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Sopra, la prima in assoluto bozza conosciuta della pianificazione del futuro Parco

Garagnin-Fanfogna (probabilmente per mano dello stesso Garagnin o per lui del Selva),

schizzo dell'orto-giardino, creato per adattamento, trasformazione e fusione di

precedenti orti di terraferma tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX sec.

 

Solo pochi tratti schematici dell'iniziale perimetro, il quale poi a completamento

ultimato si dimostrerà quello dell'equivalente quadrante di Sud-Est, con già il tracciato

del viale centrale a partire in asse dal cancello principale sulla strada primaria ed i

esistenti fabbricati agricoli.

 

Evidenziate dalla Redazione in rosso, le esatte ubicazioni sia della cosiddetta

"Barchessa", una combinazione di scuderie e stalle integrate con magazzini di

stoccaggio dei cereali, a Sud in basso a destra del cancello principale, che delle casette

degli ortolani, in alto sul muro Est, evidenziate per il previsto ampliamento e

trasformazione delle medesime nel futuro "Casinetto dei Gentiluomini" (poi "Casinetto

delle Delizie") in quella che sarà la zona elegante dell'Orto-Parco-Giardino, separata

dalle aree agricole produttive proprio dal viale di cui sopra.

 

 

A seguire, una delle proposte di Selva per il portale Ovest d'ingresso all'Orangerie del

Parco, cioè l'agrumeto, a ridosso dell'originario muro Nord, e, da ultimi, alcuni dei primi

schizzi preparatori per gli affreschi decorativi a fregio degli interni del Casinetto, poi

fedelmente realizzati.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

                                   

 

                                   

Tra i contributi di

 

                                   

Gian Luca Garagnin sr

 

                                   

 

                                   

 

                                   

A Spalato e Salona

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Oltre che agronomo sperimentale, imprenditore, economista e

politico anche archeologo, nominato dal primo Governo Austriaco

della Dalmazia responsabile della prima in assoluto"campagna di

scavi archeologici" a Salona, nel 1804 lascia la politica per

dedicarvisi.

 

Una campagna iniziata con entusiasmo, ma che durerà solo alcuni

mesi, terminata anzitempo a causa della malattia che lo

costringerà alla fine ad abbandonare i lavori.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

La mappa di Gian Luca Garagnin sr della ricostruzione delle mura dell'antica Salona e

parte delle facciate del cosiddetto "Palazzo" di Diocleziano, incluso in quello che

sembrerebbe essere l'estremo Est della città intra moemia, ma che di fatto, come

vedremo, non è...

 

Sopra, nella metà sinistra del foglio la mappa approssimativa della ricostruzione

dell'imponente cinta muraria a difesa dell'intera area di servizio annessa ed integrata

alla Villa o Palazzo di Diocleziano, oggi Centro Storico di Spalato, che si estende dalla

vicina Salona, al centro ed estrema sinistra, fino ad includere, sull'estrema destra, il

Palazzo dalla caratteristica planimetria perimetrale quadrangolare, qui

ulteriormente evidenziata con un quadrato rosso, ed insieme, nella metà destra del

foglio, i prospetti meravigliosamente dettagliati di tre delle facciate del Palazzo.

 

La mappa sembra deliberatamente ruotata con asse verticale orientato Est-Ovest

invece che Nord-Sud:

ci aiuta a "leggerla" quella che sembrerebbe l'Isola di Vragnizza/Vranjic, qui evidenziata

con un cerchio rosso, l'unica nell'area, vicina alla foce del Fiume Jadro, oggi nel

Comune di Solin, tipico fiume carsico di breve corso, così ricco d'acqua da rifornirne

l'intera Spalato, dove oggi si trova l'Aquarium di Split, il più grande della Croazia.

 

                                   

 

 

                                   

Sempre a sinistra sulla mappa di Garagnin è compreso l'attracco delle navi - già porto

illirico - dove ancora oggi è dislocato il porto commerciale merci di Spalato/Split (quello

passeggeri è dall'altra parte della Penisola di Marjan/Poluotok Marjan con la Collina di

Marjan/Brdo Marjan, cioè sul lato mare del Palazzo) sia il sistema del trasporto e della

distribuzione dell'acqua potabile e dolce, l'acquedotto, i corsi naturali di scorrimento del

bacino imbrifero montano (in primis appunto il Fiume Jadro) e le canalizzazioni artificiali

a valle fino al mare (oltre ad essere rifornito dall'acquedotto, ancora funzionante, il

Palazzo dispone di una propria sorgente in loco!).

 

I tre segmenti di facciate sembrerebbero corrispondere, quello in alto alla parte dei

prospetti laterali delle facciate verso Nord-Ovest e Sud-Est (che affacciano verso i

monti) inclusa una torre d'angolo, quello centrale al prospetto della facciata verso Sud-

Ovest (verso il, o, meglio, sul mare, con ingresso al grande vestibolo e tanto di attracco

per le grandi triremi), quello in basso la sezione centrale del prospetto di Nord-Est con

il sontuoso ingresso principale della cosiddetta "Porta Aurea".

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Sopra, ricostruzione della pianta del Palazzo di "Diocleziano", nato Διοκλής, Diocles,

proprio a Salona nel 244, il quale nella grande villa morirà nel 313, dopo essere stato

imperatore dal 284 al 305 con il completo nome imperiale di Cesare Gaio Aurelio

Valerio Diocleziano Augusto Iovio, Caesar Gaius Aurelius Valerius Diocletianus

Augustus dal 287 assumendo anche il titolo di Iovius.

 

Sotto, una ricostruzione volumetrica della villa imperiale, fatta edificare tra il 295 e il 304

dC, che viene resa nell'immagine realisticamente, particolareggiata e a colori, visibili i

grandi cespugli di rosmarino selvatico, gli alberi di olivastro ed i cipressi.

 

                                   

 

                                   

I primi coloni Greco-Siracusani nel V-IV sec aC chiamano infatti il luogo e la sua baia

Aσπάλαθος, Aspálathos, appunto perché dal mare la costa si presenta loro come una

vera esplosione di giallo, dovuto alla florescenza della ginestra o Calicotome Spinosa,

arbustiva tipica di "gariga" costiera e macchia mediterranea su suoli calcarei, la quale

rimane qui tuttora molto comune.

 

I Romani ribattezzeranno Aspálathos in Spalatum, una forma contratta di Palatium

Diocletiani la quale foneticamente ricorda comunque la denominazione greca, che nel

Medioevo si traformerà poi in "Spalatro", nome che rimarrà nella Lingua Dalmatica, ora

estinta, e infine nello "Spalato" italiano e lo "Split" slavo (questo durante una breve

parentesi nel XIX sec nella variante Spljet).

 

I ladroni predatori Romani si renderanno come loro solito colpevoli di scempio lungo

l'intera costa dei boschi per costruirsene innanzitutto navi e quello che non riusciranno

a depredare i Romani ne faranno tabula rasa i Veneziani (seguiti e perfezionati dagli

Austro-Ungarici), come del resto in tutto il Mediterraneo Centro-Orientale - altro che

"ecologia sostenibile", la cosiddetta "civiltà" ha dei costi da pagare...

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

A Traù

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Sulla costa a pochi metri proprio di fronte alla loro residenza

sull'isolotto di Traù, dove i fratelli Ivan Dominik/Gian Domenico e

Ivan Luka/Gian Luca della nobile famiglia traurina Garagnin

posseggono in pratica un intero angolo cittadino a ridosso della

Porta Nord o di Terraferma, nel 1802 decidono di allestire un parco

agricolo.

 

Uno molto speciale, insolito e sperimentale per l'epoca, anche in

una combinazione di giardino aristocratico - con prati, vialetti,

ruscelli, piante ornamentali e aiuole fiorite, con tanto di elegante

"Casinetto delle Delizie", un tempietto e un ricco lapidarium - e

allo stesso tempo di orto botanico, un vivaio ricchissimo di specie

col fine preciso di testare la capacità di acclimatizzazione di piante

decisamente "esotiche" per la Dalmazia.

 

 

Si parte con un iniziale utilizzo dell'area prevalentemente agricolo,

più precisamente "orto-frutticolo", cioè produzione di cereali,

frutti e verdure.

 

La si trasformerà gradualmente in un vero parco-giardino, cioè

con alberi e piante ornamentali, piante rare ed una ricchissima

varietà di cespugli e fiori.

 

 

Parallelamente alla metamorfosi funzionale si passerà, pur nelle

dimensioni miniaturizzate di un modello per più ambiziosi

progetti, da una iniziale disposizione geometricamente "rigida",

rinascimentalizzante, delle piante e degli arbusti a modelli di

layout più naturali, tredimensionalmente morbidi ed eleganti, tipo

parco inglese collinare, soprattutto sul retro dell'appezzamento,

più nascosto, quasi intimo, lontano dalla strada principale.

 

Il parco offrirà così ai proprietari riposante frescura e raffinato

godimento estetico e, oltre al divertimento, permetterà a Gian

Luca Garagnin, uomo di cultura e di "coltura", agronomo esperto

e sostenitore di un necessario ammodernamento delle allora

arretrate pratiche agricole nella Provincia di Spalato e in tutta la

Dalmazia, anche una professionale attività botanica con

esperimenti di domesticazione di nuove colture vegetali, dando

così vita ad una remunerativa produzione di piantine in vivaio per

il rimboschimento delle campagne brulle e rocciose della Regione.

 

 

L'"abbellimento" del Parco viene commissionato all'architetto

veneziano allora più in voga, Giannantonio Selva, amico

personale dei Garagnin e, come loro, assiduo frequentatore di

salotti culturali e massonici a Venezia, il quale vi progetterà e

realizzerà quattro edifici in stile neoclassico:

 

- due rustici, a Sud sulla strada postale Sebenico/Šibenik-Spalato

/Split

 

- una loggia-padiglione, sul lato Est del muro perimetrale

 

- l'abitazione del giardiniere, nell'estrema zona posterione sù a

Nord con separato ingresso secondario diretto

 

- oltre a un tempietto in un'area centrale verso Sud.

 

A sottolinearne la duplice funzionalità dell'impianto, sulla strada

lungomare due "ingressi principali" al Parco, affiancati, uno

pedonale ed uno per animali da lavoro e da traino, con relative

stalle e magazzinaggio temporaneo dei cereali prodotti pronti per

la vendita.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Disegno del sarcofago dell'Augure L(ucio) Pomponio Draco ad opera del geometra

/agrimensore Ivan o Giovanni Danilo, a dire il vero un professionista sì ma esperto di

costruzione di strade ed infrastrutture, sulle cui rilevazioni topografiche, schizzi e

disegni a commissione di Gianluca Garagnin si baseranno molti dei progetti

dell'archittetto Giannantonio Selva.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Di Gian Luca Garagnin e della sua di scavi dell'antica città romana

di Salona rimangono disegni documentali, alcuni del geometra

Giovanni/Ivan Danilo, un lapidarium intatto come all'origine

istallato, un sarcofago scoperchiato, una statua decapitata, un'ara

funeraria e numerosi frammenti di manufatti in pietra - colonne,

basamenti, capitelli e fregi - distrutti e sparpagliati su tutta la

superficie dell'odierno perimetro.

 

La documentazione grafica d'epoca dei monumenti di Salona,

ritrovati grazie alle due campagne di scavi del 1805, è oggi

conservata nell'archivio privato della Famiglia Garagnin-Fanfogna,

oggi bene del il Museo Civico di Trogir, particolarmente preziosa

anche dal punto di vista scientifico perché riguardante antichità

successivamente sottratte o comunque scomparse, come quelle

dell'Imperatore Costanzo e del suo reggente Julius Seremetius

Rufus, che peraltro permettono di ricostruire la porta della città,

nel IV sec reinterpretata in arco di trionfo.

 

 

Ad abbellire il suo orto-giardino di Traù Gian Luca Garagnin

seleziona una raffinata serie di reperti lapidei monumentali, pietre

tombali, frammenti di iscrizioni, sculture, altari e pilastri e fin

dall'inizio il parco viene altamente stimato come una grande

risorsa.

 

Aspetto inoltre del tutto inedito, sia per la città che per il territorio,

il Parco viene visitato con frequenza da ospiti stranieri, di alto

rango, statisti e uomini di scienza, che ne apprezzano le finalità di

coltivazioni innovative, godendone anche appieno della sua

rinomata atmosfera simbioticamente curata, allo stesso tempo

culturale e naturale.

 

 

Tra gli ospiti i più illustri - oltre a botanisti di fama come:

 

- Franz von Portenschlag Ledermayr, suo il ricco erbario

"Enumeratio plantarum in Dalmazia lectarum" secondo il sistema

binominale di Linneo e di cui porterà circa 200 piante in vaso a

Vienna per i giardini della coppia imperiale

 

- Bartolomeo Biasoletto, fondatore nel 1828 e direttore del primo

"Gabinetto (Giardino) Botanico di Trieste" poi dal 1842 e tuttora

"Civico Orto Botanico"

 

insieme a

 

- Muzio Tommasini, autore di un erbario sulla Flora di Venezia

Giulia e Istria

 

entrambi nel 1838 nella spedizione scientifica di Federico

Augusto, Re di Sassonia, documentata in "Viaggio di S. M.

Federico Augusto Re di Sassonia per l'Istria, Dalmazia e

Montenegro" del 1841

 

anche personaggi politici e militari come:

 

- Auguste Frédéric Louis Viesse de Marmont, generale francese

Maresciallo dell'Impero nelle Guerre Napoleoniche, nel 1808 in

Dalmazia per occupare la Repubblica di Ragusa, poi Duca di

Ragusa e Governatore Generale Civile e Militare delle Province

Illiriche per cinque anni

 

- nel 1818 l'Imperatore Austriaco Francesco Giuseppe Carlo

Giovanni d'Asburgo-Lorena, cioè Franz Joseph Karl aus dem

Haus Habsburg-Lothringen, ultimo Imperatore dei Romani, primo

Imperatore d'Austria, e ultimo Duca di Milano, padre del futuro

Franz Joseph I von Österreich, Imperatore d'Austria e Re

d'Ungheria - il "Cecco Beppe" dei beffardi "canti di naja" italiani

d'epoca per capirci - con un particolare interesse artistico, non a

caso fiorentino di nascita

 

- Federico Augusto I Re di Sassonia e Duca di Varsavia, Joseph

Maria Anton Johann Nepomuk Aloys Xaver "der Gerechte", che

durante il suo Grand Tour in Dalmazia ne loda competentemente

la flora essendo lui stesso provetto botanico

 

- Ferdinando Massimiliano d'Asburgo-Lorena, Arciduca d'Austria

e Principe Imperiale, Erzherzog Ferdinand Maximilian Joseph

Maria von Österreich (sì quel "Massimiliano I del Messico" del

famoso Castello di Miramare a Trieste!)

 

- Ludwig van Welden, dal 1848 Governatore Civile e Militare della

Dalmazia austro-ungarica

 

- nel 1919 il Viceammiraglio statunitense Philip Andrews, all'epoca

Comandante della flotta internazionale di stanza nell'Adriatico...

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

                                   

 

                                   

"Specifica dei Monumenti

 

                                   

ed oggetti antichi od artistici

 

                                   

degni da conservare a Traù"

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Riportiamo di seguito la preziosissima, encomiabile prima lista in

assoluto dei Beni Culturali della Città di Traù, in ben 165 punti,

accuratamente redatta di propria mano da Gian Luca Garagnin.

 

Un qualcosa come due secoli prima dell'UNESCO, quando nessun

altro ci avrebbe mai neppure pensato e di fatto non lo fece - altro

che i dietrologi, i benpensanti e i ciarlatani, altro che i politicanti e

i mercanti del tempio di oggi!...

 

 

Ci riproponiamo di trascrivere la presente lista e gli appunti

olografi di Gian Luca Garagnin e di cercare a trovare riscontro

nella Trogir di oggi dei "monumenti ed oggetti antichi od artistici"

annotativi o almeno una qualche traccia fisica ovvero una

qualsivoglia di documentazione o di memoria.

 

Già da ora coscienti di come buona parte di questo "patrimonio"

sia stato asportato, demolito, sfregiato da discutibilissimi restauri,

anche "ampliativi" con buona memoria delle competenti Autorità

di gestione e tutela, a vario titolo vandalizzato o semplicemente

sottratto.

 

 

Almeno la parte monumentale quella c'è ancora quasi intatta,

anche se troppo spesso crescentemente svilita o indecorosamente

nascosta, quasi ridotta ad un pretesto o un'esca, per attitirare

stressati turisti ammucchiandoli come sardine nella trappola, e

non il patrimonio storico-culturale che di fatto è, da condividere

orgogliosamente con graditi ospiti.

 

Svilita o occultata da contesti o sovrapposizioni, pur stagionali,

dalle indegne caratteristiche oltremodo banali, oltraggiose, troppo

mercantili, soffocanti e, ancor peggio, spicciolamente

commercializzanti, che fanno di questa Cittadina non "un museo a

cielo aperto" - come semplicemente e più che doverosamente

meriterebbe - ma tutto un caotico mercato e luna park!

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Trascrizione della pagina 1, oggetti catalogati dall'1 al 27:

 

                                   

 

                                   

 

                             

1

   

 

                                   

Specifica dei Monumenti

od oggetti antichi ed artistici

degni di conservarsi a Traù

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

001. Duomo col piccolo obelisco in Piazza (esterno

e interno cogli arredi)

 

002. Palazzo comunale fu del Conte (esterno e

interno)

 

003. Loggia comunale in piazza

 

004. Torre dell'orologio colla sottopostavi chiesa di

S. Sebastiano Proprietà degli Eredi Burich-

Mirossevich

 

005. Case unite furono Cippico in piazza (esterno e 

interno):

proprietà Sentinella, Tacconi, Strojan, Puovich,

Radich Bellissimo, De Nutrizio, Antonio Lubric,

F.[rate]lli Kirchmayer

 

006. Chiesa dell'Abbazia di S. Giovanni Battista

(esterno e interno)

 

007. Stemma al portone della Casa fu Burich alla

detta Chiesa

 

008. Vecchio Episcopio ora Giudizio e Uff[ici] o S[?]

rurale (esterno e interno)

 

009. Scala e poggiuoli della piccola Casa de Paitoni

presso il detto Episcopio

 

010. Scala della Casa dominicale de Paitoni

 

011. Casa de Dragazzo di fronte all'ingresso del

Monastero di S. Nicoló

 

012. Monastero delle M.[adri] Benedettine S. Nicoló

(esterno e interno)

 

013. Chiesa di S. Nicoló (esterno e interno)

 

014. Leone col libro chiuso presso la porta Marina

 

015. Porta Marina (colle ante)

 

016. Loggia comunale presso la stessa Porta

 

017. Torre del Monastero di S. Nicoló alla Marina

avente un grande poggiuolo

 

018. Vecchio stendardo comunale alla marina

 

019. Torre di proprietà del Monastero di S. Nicoló a

Ponente della Porta marina

 

020. Interno della Casa degli Eredi fu Giacomo

Demifreli [?] (fu Lucio), alla marina e suo

portone esterno a Nord

 

021. Portone arcuato del cortile della Casa Ostrich e

de Grazio nel Piazzale di S. Spirito

 

022. Finestra gotica della Casa de Nutrizio presso la

caserma delle Guardie di Finanza

 

023. Porta della Città presso la Chiesa di S. Spirito

con affresco dalla parte interna

 

024. Statua di cavaliere del medio evo nella Piazzetta

di S. Spirito

 

025. Chiesa di S. Spirito

 

026. Cortile della Confraternita della detta Chiesa, col

portone d'ingresso

 

027. Chiesa di S. Domenico (esterno e interno)

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Trascrizione della pagina 2, oggetti catalogati dal 28 al 47:

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

028. Cortile del Convento di S. Domenico

 

029. Piccola finestra gotica a 4 fori, a pianterreno fra

le case Sasso e Caudia [o Candia], presso lo

squero [tipico cantiere veneziano per

imbarcazioni a remi - NdR] fu Cattalinich ora

communale

 

030. Castello Camerlengo (esterno e interno)

 

031. Belvedere fra il detto Castello e la Torre di

S. Marco nel piazzale detto "Batteria"

 

032. Torre di S. Marco

 

033. Colonne di una pergola di proprietà di

Spiridione Puovich nella sua Casa alla

"Batteria", era Burvich [Brivich?]

 

034. Casa De Caris presso la Chiesa di S. Michele

 

035. Portone e campanile della Chiesa di S. Michele,

nonché il suo interno, due capitelli

 

036. Portone arcuato del Cortile della Scuola dal lato

nord presso la predetta Chiesa di S. Michele

 

037. Portone nella Calle dei Carmeni presso la Casa

Mazzanovich al civico n. 238

 

038. Iscrizione del 1533 presso la stessa casa dietro

alla Casa fu Petrić ora Puovich

 

039. Portone della Chiesa dei Carmeni coll'iscrizione

coperto da cornice e con sottostante

bassorilievo

 

040. Stemma sopra la porta esterna, (dal lato nord

della sagrestia dei Carmeni)

 

041. Stemma, al lato sud dell'orto Calebotta e Buble

nella piazetta dei Carmeni

 

042. Iscrizione sull'architrave della Porta di Ovest

della Casa dei Carmeni di fronte alla Casa fu

Petrić ora Puovich

 

043. Finestra bifora gotica al primo piano della Casa

Nutrizio di Matteo nel Piazzale Obrov

 

044. Chiesa di Ognissanti

 

045. Portone (però cadente) del Cortile Suria [?] in

Borgo Pofriche [?] presso la Casa Drviš

 

046. Finestra lombardesca, che prospetta da Sud

sulla muracca Puovich di Grlvich [?]

 

047. Capitello in borgo all'angolo S-E della Casa di

Anton Radich Bellissimo, presso la Casa Marich

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

(Pagina 4 mancante, oggetti catalogati dal 62 al 76.)

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

(Pagina 8 mancante, oggetti catalogati dal 133 al 147.)

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

 

                                   

In Dalmazia

 

                                   

 

                                   

 

                                   

"Dell'Educazione e dell'Istruzione

 

                                   

Pubblica"

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Parallelamente e contestestualmente allo sviluppo di nuove

metodologie e tecniche per lo sviluppo dell'agricoltura Gian Luca

Garagnin - uomo di cultura, di scienza, di economia e di politica,

"moderno" nella vera accezione del termine - vede connessioni,

correlazioni causa-effetto, interrelazioni, sinergie, reti...

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Dettagliate annotazioni sullo studio di nuovi insediamenti di viticolture e olivicolture, su

parametri di aria, vento, illuminazione solare, esposizione angolare sui pendii,

accessibilità, trasporti...:

un modo del tutto nuovo, decisamente moderno e scientifico di concepire l'agricoltura

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Si interessa quindi altresì a riforme politico-sociali, come, tra le

altre quella scolastica, ponendo particolare attenzione

sull'apprendistato, la necessità cioè di:

 

- creare nuove leggi, ordinamenti e regole di possesso ed utilizzo

della terra

 

- una nuova classe dirigente all'altezza dei tempi e lontana il più

possibile dagli arisocratici latifondai medievali, ancora nel loro

pieno anacronisticamente bloccante potere

 

- e una nuova classe operaia e contadina "specializzata",

parimenti all'altezza dei tempi,

 

quali alcuni dei presupposti sine qua non per l'ammodernamento

dei processi produttivi e l'effettivizzazione di un nuovo sistema

produttivo di larga scala nella Regione Dalmata e molto, molto

altro ancora...

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

                                   

 

                                   

 

                                   

I deprecabilissimi e provocatoriamente inutili "fatti di Traù" (a seguito del Patto di

Londra appena alcuni chilometri dal confine a Nord di Capo San Nicolò o Capo Planca,

in Croato Kap Planka, dei territori militarmente occupati dall'Italia) ad opera di un

piccolo, solo ed impaurito discendente dell'ultimo Podestà della Cittadina - il traurino

Conte "Nino Fanfogna" (nella foto d'epoca marcato in rosso a bordo della nave "Puglia"

nel porto di Spalato).

 

Fanatico "irredentista" filo-dannunziano, trova quindi ispirazione nell'occupazione della

carnerina città di Fiume di solo pochi giorni prima, per autonominarsi "Ducetto" della

"Piccola Venezia" dalmata nonché proclamarsi "Dittatore di Traù".

 

Le conseguenze di tale delirante follia non solo ricadranno non solo tragiche sulla sua

famiglia (la quale indirettamente ancora oggi ne paga il prezzo storico) e neppure in

limitate forme e dimensioni su quella classe aristocratico-altoborghese, la quale

all'epoca come lui caldeggia per il nascente Movimento Nazionalista Fascista in Italia,

ma purtroppo alla fine così disgraziatamente catastrofali per la società civile tutta di

allora e per generazioni e generazioni ancora a venire.

 

Di fatto le crudeli conseguenze saranno semplicemente apocalittiche per individui,

nuclei familiari e intere comunità di pacifici, da generazioni ben integrati e laboriosi

lavoratori italiani, ad includere personalità nel campo della cultura, della scienza,

dell'amministrazione e della produzione, e le loro ripercussioni daranno vita in più

violente ondate ad uno degli innumerevoli esodi e spopolamenti, non solo nella

medesima Traù, a Spalato e lungo tutta la Riviera dei Castelli, ma anche in generale

nell'intera Dalmazia.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Il triste epilogo dei

 

                                   

Garagnin-Fanfogna

 

                                   

 

                                   

E la brutta fine dell'ignaro Parco

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Gli eventi politici e sociali ed i negativi sviluppi economici a

seguito della Prima Guerra Mondiale purtroppo non saranno però

favorevoli ai proprietari Garagnin-Fanfogna, già ricchi e potenti, e,

di conseguenza, il Parco si avvierà ad un lento, progressivo

degrado, che, dopo decenni di incuria, lascerà inesorabilmente

segnato questo, nel suo genere unico, capolavoro di orticoltura.

 

I risentimenti anche inequivocabilmente ideologico-politici contro

la famiglia Garagnin-Fanfogna, già identificata negli storici

predecessori come "gente di potere" rappresentante dei Governi

Veneziano, Francese ed Austriaco ed i cui discendenti

dimostreranno inoltre aperte simpatie per movimenti di carattere

irredentista e fascista, uno fra tutti il giovanissimo Conte Gian o

Giovanni Antonio Fanfogna III, conosciuto come "Nino" e

ricordato come il "Dittatore".

 

 

A lui si deve nel settembre 1919 il fallito, e per alcuni aspetti anche

goffo, tentativo di creare una Traù indipendente ed italiana,

insomma un territorio "libero", sul modello di quello inscenato da

Gabriele D'Annunzio a Fiume.

 

Il cosiddetto "Stato Libero di Fiume" o "Slobodna Država Rijeka",

come città-stato de facto un anno (D'Annunzio cacciato dalla città

ad opera delle regolari Regie Forze Armate Italiane nel cosiddetto

"Natale di sangue") e de iure tra il 1920 e il 1924, sotto la cui

suggestione questo esaltato trentaduenne rampollo di una delle

più importanti ed antiche famiglie di Traù, nonché discendente

dell'ultimo Podestà veneziano della Città, organizza un "golpe"

tutto sui generis.

 

 

Convinti alcuni Ufficiali italiani dislocati a Pianamerlina

/Prapatnica, sul confine fra territorio dalmata sotto

amministrazione dell'Autorità Italiana e la regione sotto controllo

degli Slavi del Regno di Jugoslavia, la notte del 23 settembre

1919, a capo di una spedizione di un centinaio di soldati e quattro

autocarri, Nino Fanfogna "occupa" la sua città natale, in

violazione delle vigenti frontiere anche se, fortunatamente, senza

alcuno spargimento di sangue, autoproclamandosene "dictator",

secondo l'antico costume romano.

 

 

Un quasi insignificante episodio di fanatico irredentismo italiano

contro tutti gli accordi raggiunti nel Patto di Londra, che rischia

però di provocare un conflitto militare fra i due indipendenti Stati

del Regno d'Italia e del Regno di Jugoslavia, scongiurato però dal

pronto intervento di altri Italiani, gli Ufficiali della Nave "Puglia",

insieme alle truppe statunitensi di stanza a Spalato.

 

Questa sciagurata disavventura avrà comunque pesanti

ripercussioni sulle comunità italiane di Traù e Spalato del tutto

estranee all'accaduto e il Governatore Jugoslavo farà arrestare

numerosi esponenti italiani di Traù:

 

- Nino, Simeone e Umberto Fanfogna

 

- Vincenzo Santich

 

- Achille De Michelis

 

- Giorgio De Rossignoli

 

- Lorenzo Lubin

 

- Giacomo Vosilla

 

- Antonio Strojan

 

- Marino, Michele e Spiridione Marini

 

ed altri, molti dei quali innocenti e del tutto estranei ai fatti.

 

 

Da questo episodio il forzato esodo, o, meglio, una vera e propria

"fuga di sopravvivenza" di molti Italiani dalla Dalmazia "jugoslava"

e, per forte effetto psicologico, anche da quella sotto

amministrazione italiana, a seguito delle scorribande "punitive" di

squadristi .

 

Con il tacito benestare delle Autorità Jugoslave, queste bande

criminali si daranno a vandalizzare, i loro membri "impuniti" se

non protetti, abitazioni e proprietà dei numerosissimi Cittadini di

originaria etnia italiana in Traù/Trogir, lungo l'intera Riviera dei

sette Castelli/Kaštela e fin dentro la stessa Spalato/Split.

 

 

Di positivo - se mai qualcosa - solo il conseguente totale

disgregamento politico del locale "Fascio Nazionale Italiano" di

Traù, ma a decisamente troppo alto costo, visto il purtroppo

significativo peggioramento delle condizioni di vita dei pochissimi

Italiani decisi a restare!

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Fotografia dei primi anni del XX secolo all'interno del Parco Garagnin-Fanfogna, con

l'edera che ormai copre quasi completamente la veranda di un irriconoscibile

"Casinetto delle Delizie" a causa di evidente incuria già ancora di proprietà della

famiglia, poi definitivamente abbandonato, sfregiato, vandalizzato e devastato alla fine

della Seconda Guerra Mondiale e a, seguire, nel Secondo Dopoguerra.

 

 

Politicamente e culturalmente di ispirazione tutta titina, la sistematica rinnegazione

antistorica di qualsivoglia appartenenza legata a "romanità" o "italianità" (la "storia" dei

luoghi secondo la corrente di pensiero dell'epoca sarebbe da far risalire

esclusivamente alla Grecia e alla Nazione "Illirica"...)!

 

Viene solo da domandarsi inquietantemente che fine abbia mai fatto lo spirito

protettivo intrinseco del luogo, la "sacralità" di questo spazio, frutto di tanta amorosa e

prolungata interazione fra natura e umano, in altre parole il suo genius loci...

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

Una damnatio memoriae

 

                                   

cui mettere fine

 

                                   

 

                                   

 

                                   

A distanza di un secolo, una società che nel frattempo si dice

sviluppata democratica, civile e matura non può cercare di

continuare a cancellare così la sua storia, nel bene e nel male

"propria", per cui sarebbe ormai più che ora di finirla con questa

calcatamente ostentata, anche se mai apertamente dichiarata,

damnatio memoriae, ormai anacronistica, fuori dalla storia che

conta!

 

Il Parco Garagnin-Fanfogna fa parte di quel patrimonio della

Comunità e della Città di Traù di cui tutti noi essere orgogliosi ed

il suo deplorevole stato di abbandono e di più oltraggioso e

miserevole degrado rappresenta un notevole impoverimento

comune, una grave responsabilità politico-amministrativa e una

colpa di cui si dovrà rendere storicamente conto, a cominciare nel

vicino futuro prossimo all'UNESCO, perché a pieno diritto

classificabile - perché no - come un "crimine culturale".

 

 

Sarebbe per questo senz'altro un gesto riparatorio molto

apprezzabile, perché appunto di "superiorità culturale", degno di

un luogo "Patrimonio" non di questa o quella fazione politica ma

"dell'Umanità", spogliare vecchi simboli del loro avuto

contingente significato politico ed, in questo caso, delle

indiscusse accezioni negative del termine, recuperando e

restituendogli a pieno titolo la loro intrinseca valenza socio-

storico-artistica.

 

Come adesempio una auspicabile reinstallazione dei Leoni

Marciani tra l'altro sulle Porte di Terraferma e Marittima e sugli

edifici più significativi del Centro Storico di Trogir, per non

parlare dell'aggiuntivo reintitolamento simbolico anche con le

antiche denominazioni veneziane ed italiane delle "calli", in

particolare quelle confinanti, adiacenti o nell'immediata prossimità

dell'ex residenza Garagnin-Fanfogna, attuale sede del Museo

Civico, tra cui la "Via delle Acque".

 

 

Per quanto riguarda le idee e le proposte di "rivitalizzazione" del

Parco Garagnin-Fanfogna, di cui si sente ormai parlare da anni,

non sono più sufficienti, per cui da incontri da salotto culturale,

studi teorici ed altre pur encomiabili iniziative, ma a solo

guadagno dei politici di turno con qualche estemporanea

esposizione sui media, bisognerebbe passare ai fatti.

 

"Ri-qualificare" la struttura dovrebbe significare innanzitutto

ridefinirne e riaffermarne il ruolo qualitativo, non certo una

irrispettosa, riduttiva soluzione tipo "parco giochi" o "giardinetti

pubblici" qualunque.

 

 

Proprio per la sua vicinanza ed interconnessione socio-storico-

geografica con il tessuto urbano di quel Centro Storico sotto

protezione UNESCO, sarà non solo auspicabile ma imperativo

riportare "quel che resta" del Parco il più possibile alle sue

originarie caratteristiche spaziali, architettoniche e botaniche

attraverso accurato e onnicomprensivo restauro.

 

Un tale impegnativo progetto dovrà veder soddisfatte le ovvie

esigenze di multidisciplinarità con le necessarie competenze

professionalmente rappresentate a tutto spettro, offrendo così a

questa perla di "Piccola Venezia" nei risultati nuove attrattive per

un turismo internazionale sempre meno scadentemente basso e

"mordi-e-fuggi", sempre più di adeguata permanenza ed alta

qualità crescente!

 

 

Occorre vivere orgogliosamente nella consapevolezza e nel

rispetto di se stessi e di tutto quello che, nulla nessuno

possedendo, ci viene affidato pro tempore, possibilmente non

solo all'altezza delle aspettative che il mondo ha su di noi, ma

sforzandoci di saperlo sorprendere, naturalmente in positivo.

 

Che questo progetto sia buon viatico all'altro appuntamento

- quello in qualche modo "ultimo", perché di vitale importanza

proprio per il turismo e quindi per l'economia dell'intero territorio

di Spalato e Traù - almeno la doverosa rivalutazione storica della

tollerata, se non dall'alto incoraggiata, negazione o

sottovalutazione della "romanità", "venezianità" e "italianità" dei

luoghi e della cultura popolare locale. 

 

 

Già legittimata in chiave "anti-fascista", più che anti-italiana,

quindi la decementificazione di Salona, la "Ostia Antica" se non la

"Pompei" croata, un preziosissimo tesoro che aspetta la sua

rivincita con una garantita affermazione al top del settore di

mercato turistico storico-artistico-culturale a livello globale...